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Ricordo di Annalena Zoli

da http://www.meic.net/index.php?id=555

Ricordo di Annalena Zoli

di don Carlo Zaccaro, già assistente del Gruppo Meic di Firenze

Martedì 6 giugno è morta, dopo una lunga malattia, Annalena Zoli, figura di spicco del laicato cattolico fiorentino. Figlia di Adone Zoli, è stata pediatra molto stimata, impegnata, anche negli ultimi anni, in un’opera di assistenza ai bambini cerebrolesi a Scutari (Albania). Per lunghi anni si è impegnata nell’Azione Cattolica ed è stata vicepresidente del Gruppo fiorentino del Movimento Laureati di Azione Cattolica.

La forte determinazione con la quale Annalena ha voluto nascondere l’avvicinarsi inarrestabile del suo esodo dalla scena terrestre alla Casa del Padre, anziché mortificare il discernimento della vigorosa traiettoria spirituale della sua vita, ce ne facilita la lettura e, volesse il cielo, anche l’apprendimento.

Perché se è vero che ogni vita cristiana dovrebbe essere un quinto evangelo, come ci ricorda il dimenticato scrittore Mario Pomilio, l’esistenza terrena di Annalena è un continuum di forti richiami estremamente attuali, non potendosi archiviare come vecchio uno standard di comportamenti che rappresenta un valore permanente, dalle grosse falle etiche dei nostri giorni reso ancor più apprezzabile e necessario.

Anche con un’opera di scavo che rimane forzatamente in superficie, sebbene confortata da una lunga consuetudine di amicizia, i punti nodali della personalità di Annalena,su cui, con quella signorilità indulgente e quasi complice, ci permette di riflettere ma con lo scotto di una seria verifica alla autenticità della nostra vita cristiana, colti rapsodicamente, tra tanti altri, potrebbero essere questi.

1) Il primo, mi pare sia dato dall’importanza delle radici. Non si può capire Annalena avulsa dalla sua famiglia, da cui è nata e da cui è stata educata. Annalena si è sempre resa consapevole dei valori inestimabili di questa famiglia posseduti e a lei integralmente trasmessi. Nel ricordino della mamma, morta il 12 febbraio 1985, è trascritto un pensiero della signora Lucia: “la vita è un viaggio spesso difficile e arriviamo talora alla fine molto stanchi, molto ammaccati… ma se abbiamo saputo amare e servire Dio, fare del bene al prossimo, che cosa sono queste prove in confronto alla felicità che ci è . preparata?”.

Non ci sentite l’eco della prima di Pietro (1,6): “siate ricolmi di gioia anche se ora dovete essere per un po’ di tempo afflitti da varie prove perché il valore della vostra fede – molto più preziosa dell’oro che pur destinato a perire si prova tuttavia con il fuoco – torni a nostra lode gloria onore nella manifestazione di Gesù Cristo”?

Per Annalena la famiglia ha costituito sempre irrinunciabile dono di natura e di grazia, condividendone, con letizia soprannaturale, tutte le vicende, dalle privazioni della libertà conseguenti le minacce del fascismo imperante, alla partecipazione nella lotta di liberazione, alla ricostruzione democratica della nostra città e del nostro paese. L’accompagnava sempre una limpida visione di fede che le ha consentito, in tutte le situazioni, anche quando il babbo ricopriva ministeri importanti fino alla Presidenza del Consiglio nel 1957, di rimanere nell’umiltà delle antiche amicizie, indossando l’abito feriale della self made woman, circondata da una stima oltre che dall’affetto che inorgogliva il Presidente, assistito durante le sue prolungate permanenze romane da Maria Teresa.

Ora Annalena è libera di cantare con il Salmista: “hai mutato il mio lamento in danza, la mia veste di sacco in abito di gioia, perché io possa cantare senza posa, Signore, mio Dio, ti loderò per sempre” (Ps 29).

2) Da questa famiglia Annalena ha imparato a fare le scelte proprie di una donna forte. Ha imparato ad attingere alle sorgenti l’acqua pura della grazia e del rispetto e dell’amore del prossimo, fosse anche un avversario.

C’è un pensiero di Guitton che potrebbe adattarsi benissimo alla filosofia di vita, alla scelta culturale di Annalena. “Io temo – dice Guitton – che il cristianesimo sia tentato di trascurare l’essenziale, di voltarsi verso il mondo, verso il successo collettivo, verso la quantità e non verso la qualità pura. Mi ricordo ciò che mi diceva Bergson: la qualità è la quantità di domani”. Appropriata ad Annalena anche la riflessione di Chesterton: “il mondo è un’idolatria delle cose intermedie che fanno dimenticare le ultime”. Aveva assimilato troppo la parola di Dio per cadere nella tentazione cui, invece, paradigmaticamente andò soggetto il popolo di Israele meritevole del castigo minacciato per bocca del profeta Geremia. “Perché il popolo ha commesso due iniquità: essi hanno abbandonato me sorgente d’acqua viva per scavarsi cisterne, cisterne screpolate che non tengono l’acqua” (Ger. 2,20). Non è forse il rimprovero che si addice ancora al grigiore contemporaneo delle nostre coscienze?

3) La professione di medico-pediatra costituiva per Annalena il suo servizio liturgico in conspectu Domini.

E’ comprensibile che nei nostri giorni diventi sempre più difficile dare unità interiore e semplificazione alla nostra vita di comunione con il Signore. Certo non c’è vita cristiana senza un incontro personale con il Signore che non ti domanda “qualcosa”, lasciandoti proprietario despota di una non meglio definita riserva di caccia, ma che vuole il tuo amore, il tuo totale e personalissimo coinvolgimento per riportare alla luce, anche per mezzo del più piccolo gesto umano qui su questa terra, oscurata dalla terribile nube tossica dell’egoismo, lo splendore della misericordia del Padre. Egli non solo accetta, ma è grato del sostegno a vincere quella sfida posta nel cuore dell’uomo in possesso della terribile facoltà di scelta tra una civiltà dell’amore ed una cultura di morte.

Non so il numero dei bambini assistiti e curati da Annalena pediatra in più di cinquanta anni di professione. Ma una cosa è certa: accanto alla sua non comune competenza professionale scattava in contemporanea la sua visione liturgica di collaborazione con Dio, creatore e salvatore, a fare di quell’esserino miracoloso che aveva tra le mani un futuro membro vivo e fervente della Sua Chiesa. E nella consapevolezza di questa sua missione è stata così abbondante la luce ricevuta dall’alto che le sue cure si sono rivolte con maggiore sollecitudine ed amore a quelle creature, icone della passione del Signore, fossero gli ospiti della Principessa di Piemonte o i numerosi cerebrolesi delle case famiglie di Scutari o gli allievi portatori di handicap delle scuole speciali albanesi. Significativa la sua Presidenza presso l’Istituto degli Innocenti.

4) Ubbidiente in piedi. Originaria di Predappio, la famiglia Zoli aveva una distinta casa con annessi terreni agricoli di cui era stata mezzadra colei che diventerà donna Rachele Mussolini. La quale manifestava, dopo il tragico epilogo del fascismo, la sua riconoscenza al suo vecchio datore di lavoro, lasciando cadere un fiore sulla tomba di Adone Zoli perché da Presidente del Consiglio (1957) aveva dato con un chiaro gesto di superiore umanità l’autorizzazione al trasferimento della salma di Mussolini da Milano nel cimitero di Predappio, dove ora riposa anche Annalena e dove ogni duello, anche politico, si placa nella pace e nella luce della Risurrezione del Signore.

Non è soltanto per la comune origine romagnola che i valori e gli ideali della famiglia Zoli abbiano trovato in don Facibeni, Pievano di Rifredi e padre degli orfani dell’Opera “Madonnina del Grappa, il più forte e stabile sostegno spirituale. Vi era la reciproca affettuosa stima ed amicizia, sorretta da un tacito sodalizio, che onorava la bandiera del “veritatem facentes in caritate“.

All’ingresso di casa Zoli, posta in quella piazza che ora si chiama “Piazza della Libertà”, poteva mettersi un benvenuto di questo tenore: “Amicus Plato, sed multo magis amica veritas”. All’interno, chi poteva sostarvi anche per un momento, poteva facilmente rendersi conto di una meravigliosa “concordia discors“, “tutti per uno ed uno per tutti”, una vibrante dinamica altruistica nella quale non era possibile star sull’uscio delle situazioni senza impegnarsi ciascuno fino in fondo

Lo studio Zoli di via dei Gondi poi era la finestra aperta sull’inquietante condizione della società civile del tempo e veicolava quelle sollecitazioni alla difesa della libertà e della propria dignità personale che antesignavano in qualche modo la costruzione del futuro democratico.

Del resto il babbo avvocato Adone e lo zio avvocato Luigi erano sicuri punti di riferimento per il foro fiorentino e maestri di professionisti che hanno messo la loro competenza a servizio della città, in particolare nelle amministrazioni civiche guidate dal Sindaco Giorgio La Pira, in maniera disinteressata e con la consapevolezza della vocazione di alto profilo che Firenze aveva per avvicinare i popoli all’unità della pace.

Educata al disprezzo di ogni enfiagione e di ogni protagonismo, in Annalena abitava inossidabile scrupolo di non anteporre mai quello che poteva sembrare un interesse proprio all’interesse e al bene degli altri. Pur potendo, per le doti che aveva, primeggiare, si è fatta sempre “seconda”. Ma questo Le ha dato una grande libertà interiore che non l’ha mai vista genuflessa di fronte ai detentori del potere di quel momento, né condizionata dal fatto di dover ringraziare qualcuno se era arrivata a posti di responsabilità e di prestigio.

Dirigente nei movimenti culturali di A.C. (FUCI, Laureati), sia a Roma che a Firenze, ha sempre con grande franchezza espresso il suo pensiero sul valore della laicità nella Chiesa e dell’importanza del suo affrancamento da ogni forma di neoconservatorismo.

Certo le discussioni in famiglia si arricchivano della presenza di Mons. Franco Costa, di Mons. Emilio Guano che sostavano volentieri in casa Zoli ogni qualvolta erano di passaggio da Firenze. E’ anche noto che il Cardinale Dalla Costa intervenne presso le autorità tedesche per salvare la vita al babbo ed allontanare la minaccia ricattatoria dell’arresto al figlio Gian Carlo. Pur in questi tragici frangenti, Annalena non si esimeva dal farsi notare – occhiali scuri in volto – alla S. Messa di S. Procolo l’indomani degli arresti persecutori, testimone di una fede che va oltre e spezza il cerchio della violenza.

In un piccolo, ma aureo – come tutte le cose di don Barsotti – libretto uscito ora dopo la sua morte: “Gesù e la Samaritana” (Libreria Editrice Fiorentina), don Divo dice che Dio viene a noi come bisognoso di quel che gli possiamo dare. E spiega: “la cosa più grande nell’amore di Dio non è il fatto che Egli ci ama, ma il fatto che Egli ci chiede l’amore quasi non potesse fare a meno di quello che noi possiamo dare a Lui”. Annalena è vissuta in una stagione nella quale, come ebbe a dire Pio XI rivolgendosi al Cardinale Verdier di Parigi, bisognava ringraziare a mani giunte la Provvidenza perché i tempi – si era prima dello scoppio della guerra mondiale – non permettevano di essere mediocri. E i tempi – lo sappiamo da S. Agostino – siamo noi.

Collocate nel nostro tempo le scelte forti di Annalena, pur nascoste nell’umile ferialità del quotidiano, hanno intarsiato, come in un mosaico, il luminoso vessillo di una croce gemmata che Gesù ci chiede di riprendere dalle sue mani – alter alterius onera portate – perché di questo nostro personale dono Egli ha bisogno per estendere la stupenda storia di salvezza di Risorto a tutte le genti ed in tutti i tempi.