DON CARLO, LA SCOMMESSA DELLA SPERANZA di Umberto Santarelli

Solidarietà Caritas Anno VIII Numero 3-4 Maggio – Giugno – Luglio – Agosto 2010

Solidarietà Caritas
Bimestrale della CARITAS di FIRENZE
Anno VIII Numero 3-4 Maggio – Giugno – Luglio – Agosto 2010 DON CARLO,
LA SCOMMESSA DELLA SPERANZA
di Umberto Santarelli
Aveva quasi novant’anni, e qualche acciacco (tutt’altro che trascurabile) non gli mancava di certo. Eppure siamo stati in parecchi a restar come sorpresi dalla notizia della sua morte. C’è una ragione (tutt’altro che banale) di questo trasalimento: don Carlo, alla sua veneranda età, dentro (dove la vecchiaia spesso fa i danni peggiori) non era affatto invecchiato. Chi, come me, se lo ricordava giovane, faceva fatica a rammentarsi d’averlo visto la prima volta un po’ più di sessant’anni fa.
Era rimasto giovane nello spirito: e perciò era – profondamente e senz’alcuna riserva – contemporaneo alle circostanze nelle quali viveva e di cui si sentiva partecipe, e perciò – come cristiano – corresponsabile.
Il buon Dio gli aveva regalato un’intelligenza tutt’altro che comune; e lui l’aveva coltivata con tutto l’impegno possibile.
Ma per diventare non un “intellettuale” saccente e vanitoso, ma un uomo: libero quanto basta per non restar abbagliato da tutte le fiammate, e generoso quanto serve per rendere un servizio vero a tutti quelli che incontrava.
La sua formazione avvenne in una città forse un po’ strana, ma di certo non banale; e in un tempo non facile, che proprio per le sue difficoltà richiedeva lucidità di giudizio e capacità di mettersi senza riserve al servizio del vero bene comune.
Non gli mancarono certo i maestri. Al liceo Dante ebbe in qualità di insegnante di religione don Raffaele Bensi, con cui instaurò un rapporto che non è certo esagerato definire di “figliolanza spirituale”, e in casa del quale – a San Michelino Visdomini – era possibile incontrare molti di quelli che erano, o sarebbero di lì a poco diventati, protagonisti della storia (non soltanto a Firenze).
Gli anni universitarî furon decisivi per la sua formazione. Non solo sul piano dell’apprendimento scientifico (la Facoltà fiorentina di Giurisprudenza era davvero un collegio di grandi maestri), ma anche su quello della formazione personale e dell’impegno nella società civile. Non si capirebbe quasi nulla della storia e della personalità di Carlo Zaccaro, se si dimenticasse la sua lunga militanza nella FUCI (non solo a Firenze, ma anche in sede nazionale), che gli consentì l’incontro e la familiarità con persone destinate ad assumere nella società italiana funzioni di altissimo rilievo (incontro che con non pochi di loro proseguì anche dopo, negli anni della maturità, lasciando un segno profondo e leggibilissimo nella sua cultura).
Carlo Zaccaro (anche se molti non lo sapevano, e lui non lo esibiva di certo) era un giurista di grande ed elegante cultura.
Ne è prova il suo essere stato per molti anni il redattore della Rivista di Diritto Agrario (diretta dal suo maestro Gian Gastone Bolla), disciplina nella quale conseguì la libera docenza universitaria quand’era già sacerdote e da anni impegnato nell’Opera della Madonnina del Grappa.
La lettura dei suoi scritti di giurista (che sarebbe molto bello render di nuovo possibile), ci restituisce di lui un tratto essenziale (e perciò indimenticabile).
Certamente i fatti decisivi della sua vita sono stati la vocazione sacerdotale, l’incontro con don Giulio Facibeni e l’impegno – senza riserve e per tutta la vita – nell’Opera della Madonnina del Grappa.
Ma anche in questo lavoro, per il quale ha consumato senza risparmio quasi settant’anni, ha avuto la grazia e la pazienza di restar se stesso; anzi, d’impreziosire questa sua missione col restar limpidamente fedele ai talenti – anche naturali – che il buon Dio gli aveva regalato e che lui ha saputo far fruttare così abbondantemente: non per sé, come tanto spesso succede, ma per coloro tra i quali l’Opera gli chiese di vivere.
Le tappe della sua vita sono state illuminanti: basta pensare agli anni trascorsi a Villa Lorenzi, dove vivevano i “figli” dell’Opera che studiavano e ai quali don Carlo ha saputo insegnare – coi fatti della sua vita, non a parole e basta – cosa voglia dire per un cristiano esser una persona colta che riesce a far giorno per giorno dono agli altri della propria cultura; o, in tempi recentissimi, alla missione di Scutari: che ha fatto di lui – giustamente – un cittadino onorario della Repubblica d’Albania, ma che soprattutto ha insegnato – con l’argomento invincibile della quotidiana testimonianza – cosa voglia dire, in questi nuovissimi tempi di “globalizzazione”, servire il bene di tutti senza farsi irretire dalle disumanità (appariscenti, ma diaboliche) d’un razzismo tanto duro a morire. Ed è riuscito a diventare albanese. Quando, nel 1997, morì l’Arcivescovo di Scutari Frano Illia – che era stato per vent’anni detenuto nelle carceri del regime, dove s’era ridotto all’ombra di se stesso – don Carlo scrisse per l’Osservatore Romano un articolo che era insieme l’elogio d’un grande vescovo, una meditazione alta sul ministero episcopale e una pagina di storia dell’Albania che pareva (ma forse era) scritta da un albanese innamorato della propria terra.
Don Carlo è stato un uomo vero, gioiosamente convinto di dover essere (per rispondere alla sua vocazione di cristiano e di prete, non per dare sfogo a uno sfizio da intellettuale “impegnato”) il sale della Terra; e disposto giorno per giorno a far tutto l’umanamente possibile per batter fino in fondo questa strada che sentiva sua.Il ricordo di Klodian Kojashi, testimone albanese dell’opera di don Carlo oltre Adriatico
Ho conosciuto Don Carlo una domenica del 2003. Ne avevo sentito parlare e l’avevo visto anche prima, però non avevo mai avuto la possibilità di conoscerlo. Me lo presentò la mia ragazza e così, quella domenica, potei stringere la mano a questo prete grande e grosso, ma molto dolce e tenero.
Ho stretto la mano senza sapere quel giorno che quel gesto mi avrebbe legato per sempre a quella persona.
Grazie a don Carlo, nella Biblioteca della Madonnina del Grappa in Albania trovai dei libri che parlavano di don Lorenzo Milani e rimasi sorpreso dalla forza e dalla lucidità del suo pensiero. Non ero solo: insieme ad altri giovani ci siamo innamorati del suo modo di fare e, incoraggiati da don Carlo, abbiamo voluto realizzare qualcosa anche per i nostri bambini, per i nostri giovani per le nostre “Barbiane”, che non erano poche in Albania. Da qui nasce l’associazione “I CARE”, segno del desiderio dei giovani della città di Scutari di vivere la propria vita accanto ai più deboli, agli abbandonati, agli ultimi della società. I CARE diventa un centro di ritrovo per i giovani, centro di discussione, di formazione, di riflessione, ma anche una mensa per i bambini malnutriti della periferia e una biblioteca per studenti.
Negli ultimi tre anni dalla sua fondazione, I CARE ha visto la collaborazione volontaria di centinaia di giovani. Ha servito, attraverso la mensa almeno 70-90 bambini al giorno, per 9 mesi l’anno. Ha realizzato decine di corsi, di incontri su temi di cultura, economia e politica con professori e personaggi illustri che sempre l’infaticabile don Carlo riusciva a convincere e a portare in Albania.
Per don Carlo, la luce della fede e della speranza doveva essere sempre accompagnata dalla formazione, dalle conoscenze di tutti gli ambiti della vita umana per metterle al meglio a servizio dei più deboli, degli abbandonati.
Proprio per questo motivo siamo riusciti ad organizzare diversi incontri all’Università, coinvolgendo il Rettore, il Senato dell’Università, diversi professori di giurisprudenza, economia e di scienze sociali e centinaia di studenti. Ricordo molto bene la settimana di incontri all’Università di Scutari, organizzata dal Prof. Paolo Grossi, giudice della Corte Costituzionale Italiana.
Sempre grazie a don Carlo, i giovani dell’associazione I CARE si sono incontrati e hanno scambiato le loro esperienze con rappresentanti della Misericordia di Firenze.
Da questi incontri è nato proprio a Scutari, all’interno dell’associazione I CARE, il primo nucleo di giovani volontari albanesi della Protezione Civile chiamato “Sacra Vita”.
Si è lavorato, con il sostegno di don Carlo e di Alessandro Ghini, per la Misericordia di Firenze e con il sostegno del dr. Elvezio Galanti, dirigente generale protezione civile italiana, per quest’ultima.
Il gruppo, appena nato, dei giovani della protezione civile albanese “Sacra Vita” si e’ trovato subito ad affrontare l’emergenza delle inondazioni nelle zone della prefettura di Scutari nei primi giorni del gennaio 2010.
Per la prima volta in Albania, migliaia di persone evacuate e i giovani della “Sacra Vita” hanno collaborato a fianco delle strutture del governo, del comune e della società civile. Per tre settimane i nostri giovani hanno gestito con servizi di distribuzione pasti, vestiti e di animazione 170 persone della comunità Rom della città di Scutari, tra i quali c’erano 72 bambini.
Tante le attività, tante le realtà nate dalle risorse locali, non imposte oppure “clonate” semplicemente da altre esperienze. Un lavoro di sensibilizzazione, di condivisione, di consapevolezza, di crescita: questo è stato il modello che don Carlo ci ha insegnato lavorando con noi.
Ho visto per l’ultima volta don Carlo una domenica di maggio del 2010. Il furgone lucente e pallido della Misericordia aveva appena portato a villa Guicciardini il suo corpo.
Ho potuto stringergli la mano ancora e so che posso vederlo ogni giorno in ogni cosa che ha costruito insieme ai giovani della mia città. Riesco a vederlo in tutto ciò che ha preso vita e continua a vivere a Scutari coinvolgendo nell’amore i giovani a fianco dei poveri e degli ultimi che… ultimi non sono più.