Ricordo di don Carlo Zaccaro
Un’orma di maggio
Sabato 15 maggio è venuto a mancare don Carlo Zaccaro, amico ed estimatore del nostro giornale. Lascia un grande vuoto nella comunità cristiana e nella società civile. Mi piace ricordare don Carlo Zaccaro con le parole che il Manzoni scrisse nel famoso 5 maggio: “né sa quando una simile orma di pie’ mortale la sua cruenta polvere a calpestar verrà … al Massimo Fattor, che volle in lui del creator suo spirto più vasta orma stampar”. Una grande orma difficile da colmare. Anche lui ha alzato tanta polvere nell’arco di una lunga vita, senza mai stancarsi di coltivare il Vangelo. Tenace nell’amore dei poveri, dei giovani e dei più bisognosi, lascia tante persone orfane del suo spirito. Perché don Carlo era un uomo che non insegnava le Sacre Scritture: le viveva e le faceva vivere.
Aveva scelto di lavorare in Albania, sulle orme di Madre Teresa di Calcutta, in un paese all’inizio molto difficile, dove ha subito anche un attentato, ma la sua tenacia lo teneva lì in quella terra di frontiera. In una città dell’estrema periferia del paese e del continente. Una Scutari ancora molto lontana dagli standard sociali europei, tanto difficile da collocare tra oriente ed occidente. Con l’impressione di essere costantemente sopraffatti dagli eventi, senza riuscire a fare sostanziali passi in avanti verso un benessere sociale che dista solo poche miglia di mare.
Chi ha avuto la fortuna di poter condividere con lui un’esperienza albanese ha avuto, come me, la riprova vivida di come si divulga il messaggio evangelico. La sua cruenta polvere, dice il Manzoni ed è vero. Don Carlo sapeva coinvolgerti in iniziative che altrimenti sarebbero state impossibili. Con quella sua risatina quasi canzonatoria ti diceva: “Come, non avrai paura a guidare una panda!”. E partivamo per le strade sterrate e sconosciute dell’Albania. Io mi sentivo sicura, come non mi sarei mai sentita neppure in Italia.
Lui ti sfidava. Salvo poi al ritorno essere sempre redarguiti per essersi avventurati in percorsi ritenuti temerari.
Alcune settimane orsono l’ho chiamato al cellulare. Lui era già in ospedale, mi ha brontolato. “Lei- mi da detto, dandomi del lei a sottolineare il rimprovero – non deve telefonare a me per sapere come sto, deve invece pensare al nostro comune amico che ha bisogno di affetto e amicizia”. Era così don Carlo, pur essendo malato, in ospedale, non pensava a se stesso, ma a coloro che avevano più bisogno di lui.
Un suo caro amico da tanti lustri lo definiva: “Un buono”. Come dire forse anche troppo, ma don Carlo era questo. Un vulcano di iniziative e di amore.
Lascia un progetto da realizzare, un suo grande sogno al quale stava lavorando: la facoltà di medicina a Scutari.
Marinella Sichi