Non potendo partecipare tutti alla messa per motivi di COVID o per altri motivi approfittiamo di questa occasione per essere comunque presenti e per pregare insieme.
Un invito a tutti a diffondere la notizia.
da https://www.politicainsieme.com/don-corso-guicciardini-successore-del-venerabile-giulio-facibeni-si-e-spento-a-firenze-di-carlo-parenti/
Don Corso Guicciardini, nato il 12 giugno del 1924, si è spento ieri 5 novembre nell’ospedale fiorentino di Careggi dove era ricoverato per Cornavirus. Il Venerabile don Giulio Facibeni lo scelse come suo erede spirituale per proseguire dal 1958 la guida dell’Opera Madonnina del Grappa. E don Corso, col coraggio della fede e guardando sempre avanti, ha coltivato il sogno di don Giulio Facibeni: «Sogno che non è un’illusione, ma un preciso programma di giustizia e carità cristiana». Grazie a Lui noi continueremo a sognare un mondo di amore.
La sua vocazione è stata originata da alcuni colloqui che ebbe giovinetto con Giorgio La Pira.
Me lo ha raccontato lui in una serie di incontri –un autentico dono- che ho avuto dal 27 febbraio al 29 maggio 2017: «mi rendo conto del valore di quei giorni e dell’esperienza che ho fatto con La Pira. Meravigliosa, perché La Pira aveva il pregio unico di legare la storia del tempo e le sue prove con la Sua vita di Fede. La Pira ci ha coinvolto nel problema della nostra Fede e inevitabilmente ci ha portato a decidere perché questa Fede non fosse passata fuori da un vero e proprio problema di coscienza cristiana. Riconosco che La Pira con il Suo affetto e con la Sua comunicazione fraterna mi ha portato al di là di me stesso e mi ha coinvolto, appunto, in un problema di Fede da attuare…Quando incontrai La Pira a Fonterutoli, dai Mazzei dove si era rifugiato nell’estate del 1944, per sfuggire ai repubblichini che lo volevano arrestare,il professore mi chiamò nella sua camera – al secondo piano c’aveva una camera – con un letto proprio di quelli famosi, tradizionali che s’usavano in campagna, di ferro battuto. Si sedette sul letto. Io mi appoggiai alla spalliera. Mi parlò di prepararsi bene per dedicare la vita all’annuncio del Signore. Sicché mi parlò della vocazione, ma più che della vocazione mi parlò di diventare apostolo del Signore…Lo ascoltai, però lui mi fece una chiamata…Quando tornò da Roma dopo la liberazione in agosto di Firenze Lui mi ripropose il problema della vocazione. Pensa un poco! [lo disse con enfasi e ritrasmette a distanza di tanto tempo tutta la meraviglia ed anche la soddisfazione per l’importanza del fatto]. E io gli dissi:”Professore io non le posso rispondere, perché io ho già deciso. Ho già deciso! Ma ora io non le posso rispondere come”. Io avevo deciso che mi sarei fatto sacerdote. Ma non glielo dissi, perché non l’avevo nemmeno comunicato alla mia famiglia. E non potevo dirgli, non gli dissi. Però la mia non era una vocazione laicale (come la sua) perché io non ero fatto per la vocazione laicale. È chiaro: per fare la vocazione laicale, il missionario laico, ci vuole delle qualità particolari che non erano le mie, erano assolutamente fuori dalla mia portata! Sicché io non gli dissi nulla, ma lui non insistette. Capito? Tutto qui!».
Gli incontri che ho avuto con don Corso furono originati dal desiderio di incontrarlo per ringraziarlo di una bella lettera che mi aveva inviato il 29 dicembre 2016, dopo aver letto un mio lavoro su Giorgio La Pira. Avevo visto don Corso tante volte dagli anni ’70 quando frequentavo intensamente don Carlo Zaccaro, sacerdote dell’Opera della Divina Provvidenza “Madonnina del Grappa” fondata nel 1923 da don Giulio Facibeni. Ma, sembra impossibile, al di là di rapidi saluti non gli avevo mai davvero parlato. Di lui il ricordo più intenso era legato alla notte tra il 5 e 6 novembre 1977 quando don Giuseppe Dossetti, don Corso Guicciardini e don Carlo Zaccaro concelebrarono di fronte al corpo di Giorgio La Pira la prima messa funebre per il sindaco santo che era volato in Paradiso.
E per me non è un caso, ma un segno, che Corso abbia raggiunto in paradiso il professore proprio il 5 novembre di questo 2020. Quel professore che aveva conosciuto alle conferenze della San Vincenzo dei Paoli dove il giovane, ricchissimo e nobile Corso conobbe i poveri. Infatti Corso nacque conte nella famiglia Guicciardini Corsi Salviati. Il titolo di conte (conte palatino) risale al 1416. Fu conferito dall’imperatore Sigismondo di Lussemburgo a Piero Guicciardini bisnonno dello storico Francesco e di Girolamo dal quale discende il ramo che ha portato poi a Giulio, babbo di Corso e importante esponente del Partito Popolare.
Proprio l’incontro coi poveri contribuì alla scelta del Guicciardini!Ecco la sue parole: «Perché poi da sacerdote sono entrato nell’Opera? Perché c’era la povertà, perché era un elemento che il Vangelo faceva affiorare nella mia coscienza. Non si può vivere il Vangelo senza abbracciare la povertà! I poveri… ti rivoluzionano il mondo interiore, perché ti fanno capire che non sei nulla, che non sei nulla! Un oceano di bisogni. Te ti avvicini e ti assorbono, ti prendono tutto, ti trasformano. Essere cristiani non è il chiedere a Dio quello che noi vogliamo da Lui, ma è fare quello che Lui vuole da noi. Spogliarsi di tutto per essere Suoi strumenti di misericordia e carità». Queste dunque le risposte di don Corso Guicciardini Corsi Salviati alla tragedia della vita, alla tragedia della povertà. Crescere [arricchendosi] in povertà. La rinunzia alla ricchezza è la vera ricchezza. E Corso ebbe la miracolosa capacità di un ricco di passare attraverso la cruna dell’ago, vincendo la sfida del Vangelo. Oggi, nella nostra società dove l’apparire è più importante dell’essere, dove la formazione della personalità avviene addirittura anche per mezzo di tecniche che vengono insegnate al fine specifico di sopraffare il prossimo nell’esaltazione suprema del sé, del proprio egocentrismo, risulta quasi incomprensibile il cammino spirituale di don Facibeni e di don Guicciardini. Uomini che per tutta la vita hanno inseguito l’annientamento del proprio io nella carità e nella misericordia fino ad accettare di essere servi inutili in una tensione di anime che «ottengono la vittoria su se stessi, dominando le passioni […] stroncando il proprio io». Ma questa rinuncia ha generato «fatti e non parole» per tante «povere creature» che soffrivano la «miseria e l’abbandono». Davvero gli ultimi. (NdA: questi ultimi corsivi sono parole di don Facibeni.)
Insieme a don Facibeni nella Madonnina del Grappa Don Corso conobbe la presenza della Provvidenza! Il racconto di quel che la Madonnina grazie alla Provvidenza ha compiuto e compie è sterminato, così come è sterminato il bene fatto da don Corso. Non si può raccontare in una pagina. Mi concentro sull’essenza.
Don Facibeni un giorno raccontò a Corso una meditazione tratta da un libro di un gesuita, Peter Lippert, al riguardo della sua esperienza di Dio. Lippert al termine della prima guerra mondiale guarda le macerie di una città tedesca, alte anche venti metri. Tutto, tutto distrutto. Lo scrittore continua: «Dio dove sei, dove sei Dio; non Ti vedo! Sei scomparso, è tutto distrutto, tutto!». Però la meditazione seguita e lui scopre che Dio è nelle sue braccia, nelle sue mani, nei suoi occhi, nella sua mente e nel suo cuore. «Ecco dove sei Dio! Sono io, sono io che devo diventare strumento della Tua azione, della Tua volontà di salvezza, del Tuo amore».
Don Facibeni, provato dalla tragedia della prima guerra mondiale, non riuscì più a dimenticare le tragedie, le violenze, il sangue versato, la vista della morte di tanti giovani. Trovò una risposta a tanti orrori nel diventare umile strumento dell’azione, della volontà di salvezza, dell’amore di Dio col quale era in mistica unione. Così – mi ha spiegato don Corso- nacque l’Opera della Divina Provvidenza “Madonnina del Grappa” che sopravvisse solo grazie al suo totale abbandono nella Provvidenza. «…e quando meno se l’aspettava la Provvidenza lo sorprendeva, con le sue delicatezze materne. Il Padre era certamente preso dentro la morsa dell’azione divina». «Nella Provvidenza aveva una grande stima. La Provvidenza era in grado di provvedere a tutte le sue scelte». Don Facibeni diceva: «Non credo più nella Provvidenza, Perché la vedo, la tocco con mano», «Tu non la conosci la Provvidenza, perché fa soffrire, però ha delle delicatezze materne»: e in questo abbandono nella Provvidenza respirava la sua anima.
Papa Francesco nell’Esortazione Gaudete et Exsultate, sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo, indica un percorso del quale le esperienze di “carità” di don Giulio e di don Corso sono un esempio luminoso.
Una notazione personale. Don Corso nei suoi colloqui con me (che ho documentato integralmente altrove) mi ha narrato anche episodi inediti di nobili famiglie fiorentine. Oltre a La Pira, decisivo per la sua vocazione, mi ha parlato di Pio XII; di Dalla Costa, Bensi, Bartoletti, Milani e dei sacerdoti francesi del Prado e di quelli dell’Opera facibeniana. Mi ha così dipinto un affresco tra due secoli della storia d’Italia aprendomi orizzonti sul futuro della «nostra umanità vulnerabile».
Ma quello che davvero ha generato in me il suo inaspettato corso di spiritualità è che ha veramente cambiato il mio essere credente.
Mi soccorrono delle parole di papa Francesco (Udienza Generale di mercoledì, 27 dicembre 2017): “Gesù è il dono di Dio per noi e, se lo accogliamo, anche noi possiamo diventarlo per gli altri – essere dono di Dio per gli altri – prima di tutto per coloro che non hanno mai sperimentato attenzione e tenerezza. Ma quanta gente nella propria vita mai ha sperimentato una carezza, un’attenzione di amore, un gesto di tenerezza?”
Grazie Don Corso, continua a volerci bene e noi ti ricorderemo volendoci bene.
Carlo Parenti
Oggi la famiglia dell’Opera in Paradiso ha un membro in più.
Ci è arrivata la notizia della morte di don Corso Guicciardini.
Ci uniamo in preghiera con i tanti nostri fratelli che hanno avuto in lui un punto di riferimento.
Saranno trasmessi in diretta streaming sul sito www.toscanaoggi.it i funerali di monsignor Corso Guicciardini Corsi Salviati. La celebrazione, presieduta dal cardinale Giuseppe Betori, si svolge sabato 7 novembre alle 10 nella cattedrale di Santa Maria del Fiore.
https://www.avvenire.it/chiesa/pagine/morto-monsignor-corso-guicciardini-firenze
https://www.lanazione.it/firenze/cronaca/monsignor-guicciardini-1.5685440
https://www.4live.it/2020/11/e-morto-ieri-don-corso-guicciardini/
https://www.stamptoscana.it/morto-don-corso-guicciardini-ha-guidato-la-madonnina-del-grappa/
Oggi sappiamo tutti che è il decimo anno dalla scomparsa di Don Carlo. Volevo chiedere a tutti voi membri del clan, di scrivere un pensiero, ricordo che avete di Don Carlo Zaccaro, in modo da creare un opuscolo che li raccolga. Intanto inizio con il mio:
Don Carlo Zaccaro è stato per me ciò che non ho mai potuto avere. Molti di voi mi conoscono e altri invece mi avranno sentito nominare per i molteplici “disastri” che ho combinato nel periodo trascorso all’Opera Madonnina del Grappa. Io sono Igor, nato in Chile sotto la dittatura di Pinochet. I primi 10 anni della mia vita sono stati trascorsi in un orfanotrofio militare dove sono cresciuto tra odio e sofferenza. All’età di 10 anni fui adottato da una famiglia della Toscana, ma a causa del mio carattere selvatico, non andò a buon fine. Il giudice che mi aveva in custodia provó a cercare un’altra famiglia per il mio affidamento, ma per la età questo non fu facile.
Ormai prossimo al ritorno in Chile per la scadenza dei miei documenti, il giudice si mise in contatto con l’Opera Madonnina Del Grappa e da qui la mia vita cambiò. Don Carlo Zaccaro diventò il mio tutore, mi salvò la vita. Ho trascorso quasi 10 anni della mia vita in mezzo a tutti i ragazzi DELL’OPERA, vivendo a Firenze alla Villa Guicciardini e Casa Rezza, a Galeata alla Torricella, a Quercianella dove passavamo le stagioni estive. Don Carlo è stato una figura chiave per la mia crescita. Lui mi ha fatto comprendere il vero significato del bene e del male. La mia vita prima di conoscerlo era sommersa solo da odio e sofferenza, lui è riuscito grazie alla sua bontà, ad aprire il mio cuore come nessuno aveva mai fatto prima. Sono stato per molti una causa persa, ma al contrario di tutti lui è riuscito a capire la vera bontà del mio animo. Oggi, a 10 anni dalla sua morte, posso solo ringraziarlo insieme a tutti coloro che hanno fatto parte dell’Opera Madonnina Del Grappa. Ho rincontrato Don Carlo dopo 10 anni dalla mia partenza dall’Opera,ci siamo rivisti alla Villa Guicciardini dove gli ho presentato mia moglie. Nel rivedermi la sua gioia immensa si è espressa con un sonoro schiaffo ( marchio di fabbrica) seguito da un forte abbraccio. Non dimenticherò mai le parole che ha usato per descrivermi a lei : “IGOR È SELVATICO MA MOLTO BUONO”.
Poco tempo dopo morì. Il mio rimpianto più grande è quello di non avergli mai detto quanto gli volessi bene.
Una storia triste la tua, ma a lieto fine, con l’incontro di Don Carlo Zaccaro, grazie di questo tuo ricordo. Don Carlo ha sempre fatto affidamento alla provvidenza e lo ricordava quando c’era una difficolta’, per cui restava tranquillo e proseguiva senza troppe preoccupazioni.
Questo grazie a lui lo tengo a mente in ogni situazione difficile. Ti ho in mente alla Torricella Igor, quando eri un ragazzino. Ricordo pure di quell’incendio, ero appena arrivato in auto a Torricella e corremmo per spegnerlo sul nascere, ma era troppo tardi e non si poteva fare altro che chiedere soccorso ai pompieri.
Sin da bambino ho sempre pensato che i ricordi d’infanzia sono indelebili, ed oggi a 41 anni ne sono sempre più consapevole perché nel decimo anniversario della scomparsa di Don Carlo, i ricordi si intensificano e non posso, anzi non voglio dimenticare la sua determinazione religiosa e sociale…. per me e per tanti altri ragazzi è stata una figura indispensabile nel cammino della crescita.
Un padre a tutti gli effetti lo ricordo come uomo generoso e colto, un grandissimo arbitro col cuore grande per me che ho avuto la fortuna di vivere nell’ Opera Madonnina del Grappa.
Ancora oggi lo ringrazio per avermi dato l’opportunità di crescere con sani princìpi…. sono assolutamente convinto che lui ne sarebbe orgoglioso!
Eri…. sei e sarai sempre il nostro buon Padre.
Un ricordo nel ricordo.
Hai fatto tanto per tanti, lasciando un ricordo in ognuno di noi. Non è cambiato nulla, continui a vivere nei tuoi figli. Scorre veloce il tempo ma questa eco non finirà mai.
Ricordando don Carlo Zaccaro sacerdote dell Opera Madonnina del Grappa che ha saputo cosi bene interpretare la paternita di Dio verso molti tra cui i nostri ragazzi della Missione di Scutari. Uomo dalle molteplici e variopinte risorse che non si fermava davanti ai problemi ma per i quali cercava soluzioni, tu ci hai mostrato l Amore disinteressato l accoglienza verso tutti in particolare per i più poveri. Uomo di una cultura finissima ma altrettanto semplice e schietto alla portata di tutti ci hai coinvolto con le tue mille idee, vulcano in continua eruzione dell Amore di Dio, ci manchi, ci manca la tua presenza serena e gioiosa, il tuo sostegno fermo e sicuro, il tuo consiglio sincero, la tua spinta di essere audace con quell incrollabile fede che hai avuto in Dio. Ti ricordo e ti saluto assieme ai nostri ragazzi con tanta nostalgia.
Fabrizio Nocchi
Un “deposito” che viene compiuto !
Don Carlo Zaccaro e’ stato un esempio di dedizione, carita’ e segno della Divina Providenza per oltre due decadi nella citta’ di Scutari. Oltre alle case famiglia che Lui ha contribuito a costituire e che continuano a svolgere in pieno la loro attivita’ sotto l’insegna della Madonnina del Grappa, Lui riusciva a coinvolgere nei suoi progetti anche tanti suoi amici del mondo accademico e figure di spicco delle instituzioni italiane.
Tutto era frutto delle sue amicizie “personali” coltivate con cura e devozione particolare durante la sua gioventu’ come professore universitario e attivista della FUCI.
Scrivo queste righe per raccontare questa bella storia che mi ha coinvolto e sono grato a don Carlo per avermi dato la possibilita’ di portare a compimento il suo desiderio.
Anni fa ebbi il piacere di laurearmi a Firenze con il prof. Paolo Grossi, insigne accademico italiano ed ora giudice della Corte Constituzionale Italiane. Nel giorno della mia laurea sul diritto consuetudinario albanese, riusci’ a strapparli la promessa che un giorno mi sarebbe piaciuto che insieme visitassimo la mia citta’ natale, Scutari. Io pero’ all’epoca abbitavo a Milano e non se ne fece nulla.
Nel 2006 ritornai in Albania per contribuire alla crescita del mio paese e ricordo con affetto l’esclamazione di Don Carlo che disse: finalmente uno che non mi chiede di venire in Italia ma che una volta “formato ed istruito nelle scuole italiane” decide spontaneamente di ritornare per contribuire ai cambiamenti albanesi.
Attraverso una mia amica vengo a sapere che il prof. Paolo Grossi venne nominato dal Presidente Giorgio Napolitano come giudice della Corte Costituzionale. Saputa la notizia avverto don Carlo e gli ricordo la promessa che il Prof. Grossi mi aveva fatto per venire un giorno a visitare Scutari.
Sotto richiesta di Don Carlo, scrivo al Professore e faccendo gli auguri da parte mia e quella di Don Carlo gli ricordo anche la promessa di visitare Scutari.
Per farla breve il professore accetta con entusiasmo e viene a Scutari per una settimana intera (oramai era giurdice costituzionale in Italia ) e tiene presso la Facolta’ di Giurisprudenza di Scutari un ciclo di lezioni rachiuso nel libro “Prima Lezione di diritto”.
L’entusiasmo degli studenti e la professionalita’ del prof. Grossi porta alla promessa dell’universita’ di pubblicare il libro anche in lingua albanese.
Come succede pero’ tante volte questa promessa venne “archiviata” e le cose sembrarono che non riuscissero ad andare come dovevano.
Don Carlo si ammala, e nella settimana prima di passare alla vita eterna, mi chiama dall’ospedale ricordandomi che dovevamo portare a termine questo “lavoro”. Eravamo a maggio 2010.
Dopo due settimane mi chiama don Daniele per dirmi che don Carlo era tornato alla casa del Padre. Fu per me e per tutta Scutari una “notizia sconvolgente”. Come si poteva fare senza il suo aiuto ? La Madonnina poteva continuare ancora la sua attivita’ ?!
Promisi a me stesso che anche se oramai vivevo a Tirana di continuare a sperare perche’ questo suo ultimo “desiderio” andasse in porto. Poche erano le speranze ma come don Carlo ci insegnava la Provvidenza “ha i suoi tempi” ma non ci abbandona mai.
Nonostante tutto ed anche se con un po’ di ritardo oggi siamo riusciti ad esaudire questo suo desiderio. Egli riteneva molto importante che nella missione dell’Opera della Madonnina del Grappa ci fosse anche l’accrescimento culturale degli studenti universitari scutarini, attraverso molti progetti oramai realta’ costanti dell’Universita’ di Scutari.
I studenti albanesi, con il libro tradotto in lingua albanese avranno uno strumento in piu’ per imparare e approffondire la scienza giuridica con un maestro del diritto quale e’ il prof. Grossi.
In suo ricordo siamo felici perche’ il seme che don Carlo ha seminato per oltre 20 anni nella citta’ di Scutari continua a dare i suoi frutti per il bene degli scutarini e della citta’ di Scutari.
Ciao don Carlo sarai sempre nei nostri cuori e siamo sicuri che da la’ su’ ci proteggi e ci saluti con il tuo sorriso immenso.
Eugen PEPA
Ex allievo della Madonnina del Grappa, Empoli.
Albania, Estate, 2014.
Ricordare Don Carlo a 10 anni dalla sua morte non è facile. A lui mi legava geneticamente il Rapporto con mio padre, suo compagno e riferimento nella lotta antifascista, o i ricordi di quando, durante i miei studi universitari, si incontravano a Firenze.
Sempre sorridente e positivo, per lui la disponibilità era un mettersi a disposizione degli altri , annullarsi e dare felicità e sicurezza a tutti, sempre.
Nel suo cammino terreno mi ha dimostrato come, con semplicità, ci possiamo mettere al servizio del buon Dio lasciandoci guidare dalla sua mano. Come quando per esempio ebbi ad incontrare, ancora giovane studente, la disgrazia di un’amica che si tolse la vita, lasciando un compagno con figlia di 5 anni. Di fronte a questa tragedia, non sapendo che pesci pigliare, andai a Villa Guicciardini e lo trovai una domenica mattina.
Spiegategli la situazione, egli subito incontrò questo mio amico giovane, a lui sconosciuto, che è uscito un lungo colloquio trasfigurato con di nuovo la speranza negli occhi.
Questo episodio per me è emblematico sulla sua disponibilità e fede assoluta nella provvidenza.
Ciao Ragazzi, pazzesco sono già passati 10 anni dalla scomparsa di questo grandissimo Uomo, straordinario Sacerdote e fantastico Padre.., quello che è stato per tutti noi. Potrei raccontarvi tante cose e aneddoti stupende, ma una in particolare mi ha sempre colpito e che non potrò mai dimenticare… In uno degli ultimi raduni (credo proprio l’ultimo di quando era in vita) a Villa Guicciardini, Don Carlo celebrò con tutti noi la messa nella cappellina. Durante l’omelia nel rivederci dopo tanti anni, ormai diventati uomini, con gli occhi lucidi e visibilmente commosso disse “Vorrei chiedervi scusa se non ho fatto abbastanza, o se talvolta, con qualcuno sono stato un po duro…”. Ragazzi io avevo i brividi nel sentire quelle parole e li ho ancora ogni volta che ci penso. Ma come.. un uomo che ha dato tutta la vita per i più deboli e indifesi, che non si è mai fermato di fronte a qualunque ostacolo o difficoltà, perché non vedeva nessun ostacolo se dall’altra parte c’era qualcuno da aiutare, la parola impossibile non esisteva nel suo vocabolario se si trattava di dare una speranza a chi non ne aveva mai avuta e che poi come uno straordinario padre sapeva amare e farlo sentire UNICO!! …Ebbene dopo tutto questo ci viene pure a chiedere scusa per non aver fatto abbastanza..??
Sindaco di Galeata
Il 15 maggio è la festa del Santo Patrono di Galeata, Ellero/Ilaro, che basò la propria vita sulla preghiera, il lavoro nei campi e la carità. Una figura importante per la nostra comunità alla quale siamo molto legati.
Il 15 maggio di 10 anni fa, durante le celebrazioni di Sant’Ellero arrivò la notizia della morte di Don Carlo Zaccaro. Il tempo sta passando inesorabilmente, ma il suo ricordo e le sue tracce concrete lasciate in questo mondo volte all’aiuto ed al bene dei più deboli, rimarrà immutato per sempre.
Oggi 15 maggio ci ha lasciati Ezio Bosso, un uomo semplice e profondo che nella sua breve vita è riuscito a lasciarci in dono tanti insegnamenti con il suo modo speciale di vivere l’arte della musica e la malattia.
15 maggio, una data che inevitabilmente accomuna belle anime.
Ci uniamo senz’altro nel ricordo e nella preghiera, in comunione anche con il nostro papà che nella notte di questo venerdì santo ha raggiunto don Carlo: vi mando un bel ricordo che lo fa essere tra noi
Grazie
Ludovica Trebeschi
Cesare Trebeschi. Lettera Battesimo
Ricordiamo il lungo articolo scritto da Cesare Trebeschi sul lavoro svolto da Carlo Zaccaro come redattore capo delle Rivista di Diritto agrario.
PRIMI APPUNTI PER UNA STORIA DELLA RIVISTA DI DIRITTO AGRARIO.
IN MEMORIA DI DON CARLO ZACCARO (1992-2010)
E’ sempre la medesima domanda quella che ti pone FB alla sua apertura, “a cosa stai pensando”. Leggendo questo articolo penso a quei meravigliosi anni trascorsi, in parte anche intensamente, con Don Carlo, dal 4 ottobre 1984 fino al 2010, anno della sua inattesa scomparsa. Mi vengono in mente gli anni di Villa Guicciardini, in particolare i primi, il 1995, il 1996, il 1997 quando a Villa avevamo dato vita ad una piccola e meravigliosa Comunità fatta di Bimbi e di giovani Universitari. Poi, con l’avvicinarsi della Laurea, il moltiplicarsi delle iniziative come quella sulla Protezione Civile, a Capaccio, a cui partecipò il Ministro Lattanzio, la sua vicinanza con Galloni che oggi riscopriamo come un vero uomo di Stato, con Spadolini e Bernabei che mi mando a prendere a Forlì, all’hotel della città, per fare un incontro, a Galeata, con il compianto Sindaco Graziani, fino ad arrivare all’apertura, con mia mamma, di Villa Torricella a Galeata. Quante discussioni su Galeata, quante piccole continue e silenziose imprese. Quelle dolci battute con Don Angelo il giorno del mio matrimonio con Chiara su chi avrebbe “comandato” in casa nostra. Mi manchi Don Carlo, mi manca il tuo sapere, la tua meravigliosa energia la tua voglia di “Fare del bene”, sempre, “contro ogni speranza”.
Non trovava mai le chiavi che dimenticava sempre ovunque, ma ricordava tutti i nostri nomi.
Ho avuto l’onore di vivere all’opera per qualche anno, e di certo l’insegnamento avuto in quegli anni me lo porterò dentro tutta la vita, un po’ ha già dato i suoi buoni frutti e un po’ sta continuando a crescere.
Don Carlo ti entrava dentro, prima con ceffone di quelli che ti facevano sentire tutto il suo affetto(un vero marchio di fabbrica) poi ti lavorava dentro con le sue parole.
Un prete, un uomo, un padre per tanti di noi, impossibile da dimenticare impossibile da descrivere se non lo si è conosciuto.
Il ricordo più bello? è inciso nel mio cuore ed è lì che lo custodisco gelosamente.
Dieci anni che non sembrano trascorsi… ciao don
Mi sono confessata con lui alcune volte quando veniva in visita a Galeata.
Credo che siano stati degli autentici momenti di spiritualità.
Un uomo che sapeva scavare nell’animo delle persone che usava le parole giuste per farti comprendere ciò che la vita non ti rendeva facilmente comprensibile.
Un uomo straordinario
In questi difficili giorni di covid19 riccordiamo con tanto amore questo grande sacerdote che ha lasciato una parte della sua vita qui a Scutari in servizio dei poveri, malati e orfani. Ancora grazie don Carlo Zaccaro.
Un ricordo di Don Carlo Zaccaro
Era la vigilia di Natale del 1984 ed eravamo a Villa Guicciardini, a Firenze. La comunità dei ragazzi si era ridotta, in quanto alcuni erano stati prelevati dai genitori per passare insieme le feste di Natale. Anche gli studenti universitari erano tutti andati a casa.
Quelli rimasti eravamo giù di tono. Anche noi, come tutti, volevamo trascorrere le vacanze in famiglia.
Alle 19,00 arriva Don Carlo, che fa un annuncio a sorpresa: “domani partirete e andrete a sciare in montagna, a Madonna di Campiglio, in Trentino”.
I ragazzi all’unisono elevarono un grido di gioia e di entusiasmo e la malinconia che fino ad allora aveva invaso l’animo dei ragazzi si dissolse in un attimo.
L’indomani partimmo alcuni con il furgone “Innocenti”, altri in treno. Fummo ospitati in una canonica annessa a una chiesa nel paese di Rabbi, in Val di Sole, retta da un padre (Don Giuseppe, mi pare), appartenete all’ordine dei Trappisti.
Fu una vacanza bellissima. La tristezza e la mestizia della vigilia di Natale era scomparsa.
Don Carlo, senza che nessuno gli avesse detto nulla, aveva percepito che i suoi ragazzi stavano vivendo uno stato di malessere e come un padre si è adoperato per spazzarlo via dai loro animi. Riuscendovi pienamente!!!
Questo è il ricordo che conservo di Don Carlo Zaccaro: un padre, un vero padre per i suoi ragazzi.
Alfio Privitera
In questi dieci anni di separazione da Don Carlo, dopo cinquant’anni di frequentazioni pressochè costanti, (don Carlo continuava a chiamarci i suoi ragazzi anche al sottoscritto che ormai da un po’ è solo un giovane onorario) quasi quotidianamente ho avuto modo di fare riflessioni sui suoi insegnamenti, sui suoi comportamenti , sulle sue indicazioni e consigli, che spesso davanti alla necessità di assumere decisioni mi sono venuti a mancare.
Mi mancano le sue telefonate dagli orari impossibili, chiamava quando gli veniva in mente una cosa : dal mattino all’alba alla sera tardi.
Potrei incominciare a raccontarvi da quando l’ho conosciuto nel 1960 a Firenze, io che venivo da una frazione di San Piero in Bagno ed il massimo di spostamenti fatti erano quelli per andare dietro la macchina da trebbiare il grano, che non ero mai entrato in un bare e che quando don Carlo mi portò , in vespa, a prendere una cioccolata calda in una pasticceria in piazza SS.Annunziata a ripensarci mi sento ancora la lingua e la bocca bruciare.
Forse il racconto di molti aneddoti non sarebbero molto diversi da quelli che potrebbero fare i molti giovani che l’hanno conosciuto e che sono stati con lui a : Villa Lorenzi, Villa Guicciardini o alle Casette.
Per chi come me, che sono orfano di padre fin dalla nascita, Don Carlo non è stato solo un educatore , ma un babbo e come tale è sempre stato presente nei momenti felici e più tristi della mia vita: dal matrimonio , allo sposalizio del figlio, al funerale della mamma.
Certamente tanti sono gli aspetti, i valori, i comportamenti, gli esempi che hanno influito nella mia crescita ed educazione, quello però di cui vado più fiero ed orgoglioso è la “coerenza” assieme alla tolleranza ed al rispetto di tutti.
Don Carlo oltre ad un grande prete, ed io dico anche Santo, era un grande politico, con una profonda passione per la Politica con la ” P” maiuscola.
Passione che mi ha trasmesso anche con gli innumerevoli incontri che don Carlo organizzava con noi figlioli negli anni sessanta con personaggi della politicae della cultura: La Pira, Pistelli, GianPaolo Meucci, il prof. Pieraccioni, Ettore Bernabei, padre Balducci, e qualche visita anche a Barbiana da don Milani e altri.
Così negli anni ottanta ho abbandonato la mia professione , legata al mio titolo di studio, e mi sono dedicato ad impegni: prima di politica amministrativa poi di politica economica per poi approdare a quella più di carattere sociale. A don Carlo questa cosa piaceva molto, credo che se ne beasse come un padre farebbe con un figlio che realizza il sogno che a lui non è riuscito.
Gli piaceva, quando eravamo assieme, sentire il mio pensiero sugli accadimenti o su personaggi del momento.
Come molti sanno ho fatto politica nella prima Repubblica nel PRI di Ugo La Malfa e di Giovanni Spadolini.
Don Carlo aveva con Giovanni Spadolini un rapporto molto speciale che risaliva agli anni della resistenza, con una storia molto particolare che aveva portato Spadolini ad essere legato e riconoscente a don Carlo; anche la sua venuta a Galeata, da Presidente del Consiglio ad inaugurare il monumento a don Giulio Facibeni, realizzato da Puzzolo, fa parte di questa riconoscenza.
Don Carlo amava la politica , se non fosse diventato sacerdote sicuramente avrebbe fatto parte del gruppo di giovani e meno giovani frequentatori di don Bensi: Fanfani,La Pira, Galloni, Bernabei, e amici della FUCI , quali Andreotti, Cossiga e Scalfaro.
Mi raccontava che già prete dell’Opera il Padre lo utilizzava per le sue conoscenze e rapporti nel mondo politico, alla richiesta a don Giulio se riteneva che se non avesse fatto il prete avesse potuto fare il ministro, il Padre con voce flebile gli rispose ” il ministro non lo so, ma il sottosegretario di sicuro”.
Ancora più commovente è il racconto di quando assieme al Padre convinsero Giorgio La Pira a presentarsi candidato sindaco alle elezioni amministrative di Firenze dopo avere detto di no a tutte le sollecitazioni di politici e personaggi vari.
Il Padre lo convinse senza parole ma solo con lo sguardo.
La Pira accettò la candidatura , vinse le elezione e fu uno dei più grandi sindaci di Firenze.
Mi sono soffermato su questo racconto anche se non inedito in quanto la Fioretta Mazzei lo ricorda nei suoi scritti, ma perchè don Carlo lo riporta con maggiore dovizia di particolari in una lettera che mi scrisse l’undici febbraio del 2009 per sollecitarmi a tornare a fare politica ed a candidarmi per le amministrative di Galeata.
La lettera concludeva:”Si licet parva componere magnis (se è lecito paragonare le cose piccole alle grandi), si ripete lo stesso bisogno.
Galeata non può subire l’onta di una amministrazione leghista che calpesterebbe la seminazione effettuata con il sacrificio della vita di don Facibeni e violenterebbe l’immagine di Dio che è l’uomo con i suoi insopprimibili diritti. Purtroppo non è più l’ateismo a contrastare la pace, ma l’idolatria della ricchezza.
Non è quindi un gioco di partiti in gara fra loro per acquisire più potere, ma è un contrastato fondo di natura culturale.
Se seguitiamo a perdere posizioni la risalita sarà sempre più difficile fino a diventare impossibile.
Pino occorre che tu pianti la piccozza e si faccia una bella cordata perchè prevalga quello che ci ha insegnato il Padre.
Pregherò La Pira perchè aiuti la tua decisione
.Grazie un abbraccio don Carlo. ”
Io per una serie di motivi : personali, famigliari ed anche partito/politici per l’unica volta non ho dato retta a don Carlo.
Le preghiere sono andate comunque a buon fine, a Galeata la xenofobia non è passata alle elezioni, ma continua a non passare neanche nella comunità che riesce a convivere pacificamente anche con una presenza di circa il 30% di extracomunitari residenti ed il 50%di alunni, giovani e studenti.
Per don Carlo, però la politica non è stata solo una passione e anche da sacerdote spesso ha svolto missioni o è stato incaricato di aprire e costruire rapporti importanti.
Nel 1974 , fu incaricato di verificare con le segreterie del P.C.I. di Berlinguer e del P.S.I. di De Martino se ci potevano essere le condizioni per non arrivare al referendum sul divorzio che avrebbe certamente diviso il Paese.
Riporta un libro edito dal Mulino, – Gian Franco Pompei (1994) Un ambasciatore in Vaticano – che un prete Gesuita, don Carlo Zaccaro, era riuscito a trovare le condizioni per un accordo, con la sinistra, che in qualche modo poteva essere superato il referendum, ma Fanfani imperterrito non ascoltando ne il Vaticano ne una gran parte del suo partito volle andare alla conta, tutti conosciamo il risultato che portò grande rammarico e turbamento specie nel mondo cattolico, ma non solo.
La mattina che don Carlo seppe dell’uscita del libro con tale affermazione mi chiamò per sentire il mio parere in merito alla necessità o meno di una sua smentita circa l’affermazione non corretta di ” Prete Gesuita “, seguì una lunga disquisizione fra: Gesuiti, Salesiani, Ciellini ed amici suoi dell’ Opus Dei: Ettore Bernabei e Pieruigi Spadolini l’architetto fratello di Giovanni.
Potrei continuare con esempi più pratici e più recenti, quando per perorare la causa degli aiuti per le iniziative in Albania al Ministero degli esteri gli procurarono un incontro con un sottosegretario di Rifondazione Comunista che incontrò a Reggio Emilia,
Mi chiamò quando era in sala d’attesa per chiedermi se lo conoscevo e per manifestarmi le sue preoccupazioni e perplessità circa l’opportunità che un prete incontrasse un ultra comunista, poi mi richiamò subito dopo l’incontro, entusiasta per la disponibilità, la preparazione e la conoscenza dei problemi, che aveva riscontrato nel sottosegretario.
Era un esempio per supportare quanto detto all’inizio circa il rispetto per tutti che don Carlo ci ha sempre insegnato senza guardare credo politico, religioso e culturale, la sua grande attenzione a non mettere mai alcuno in imbarazzo.
Più di una volta mi è capitato di essere a pranzo o cena con commensali non cattolici, ed alla sollecitazione per la preghiera don Carlo rispondeva . già fatto, tutto a posto buon appetito.
Così come quando dopo di avere deciso di fare una cooperativa sociale a Galeata discutendo sul nome da dare e sentiti i suggerimenti : don Facibeni, Madonnina del Grappa don Carlo mi disse: noi con questa cooperativa dobbiamo aiutare chiunque abbia bisogno e non possiamo quindi mettere in imbarazzo alcuno con l’adesione a ad una cooperativa con un nome di tipo confessionale.
Noi dobbiamo solo fare del bene a chiunque ne abbia bisogno.
Decidemmo di chiamarla : FARE DEL BENE.
Questo è il mio piccolo contributo per ricordare don Carlo a dieci anni dalla sua ascesa in cielo, questo grande prete non solo per le sue opere che sono patrimonio di tutti, ma anche per i suoi insegnamenti, per la sua vitalità per la sua curiosità, il suo assiduo impegno e per essere sempre stato un primatista dell’amore verso il prossimo tanto più se ultimo.
Per concludere, anche se non vorrei farlo, permettetemi di riportare le motivazioni di un premio, fra i tanti, che gli fu assegnato nel 2008.
” Sacerdote illuminato, uomo meraviglioso, faro di bontà, sempre disponibile per tutti, specie per gli ultimi.
Don Carlo ha dedicato la sua vita di sacerdote, di uomo, di docente, per il bene del prossimo bisognoso nei suoi vari aspetti: morali, spirituali, religiosi, sociali, riabilitativi, materiali e caritativi.
Convinto secondo gli insegnamenti di Don Facibeni che un buon cittadino deve avere cultura, spiritualità, professionalità, disponibilità e amore per tutti, si è impegnato con tutto se stesso per tutta la sua vita nel compito di soccorrere ed educare il- Prossimo bisognoso – senza alcuna limitazione di tempo, luogo, etnia, religione e ceto sociale.
incurante della fatica, della sua età, della sua salute, dei luoghi pericolosi, ha rischiato persino la la sua incolumità personale per -Fare del Bene-
Esempio luminoso di grande testimonianza civile e religiosa di altissimo livello .
Che Dio gli renda merito.Una risposta a “Don Zaccaro rivive nella memoria 10 anni dopo”
Don Carlo Zaccaro will always be in my memory, he was an intellectual and Godly person.
I remember every time he said a word to any of us it was memorable like of those of the Gospels.
If it wasn’t for his guidance, taught and care throughout my stay at “Villa Torricella” I wouldn’t be were I am today my character wouldn’t be kind and I am deeply deeply grateful for that and my respect goes to all the people that worked along with the Organisation and the beautiful soul of Don Carlo Zaccaro.
Scrivere di don Carlo a 10 anni dalla sua scomparsa non è cosa semplice, ci vorrebbero interi libri e immense biblioteche per contenerli. Mi limiterò a scrivere, dopo numerosi anni e ricordi passati assieme, alcuni episodi per mettere in evidenza la figura di don Carlo come uomo (quindi la sua umanità) e come sacerdote (servo di Dio).
Quando entravi nel suo studio a Villa Guicciardini per parlargli trovava sempre il tempo per ascoltarti; gli esponevi il problema ecco che il tuo problema diventava il suo e non lo mollava sino a quando non lo risolveva. Diceva sempre “non esistono problemi ma soluzioni”.
Scorrendo le immagini del blog a lui dedicate c’è ne una in particolare, quella in cui don Carlo celebra la messa con Don Fabbretti concelebrante, che mi ha fatto venire in mente una frase una definizione che quest’ultimo dava di don Carlo: lo definiva “il bulldozer di Dio”. Credo che gli dava questo appellativo sia per la corporatura e per il fisico ma soprattutto perché don Carlo era un vulcano di idee; ne pensava e ne faceva tante.
Infine, ma non per questo meno importante, ciò che mi ha sempre colpito di più di Don Carlo è stata l’intensità della sua preghiera. Vederlo pregare ti dava un senso di sicurezza e si avvertiva la comunione, la presenza e il rapporto intimo che aveva con Dio. Ricordo che dopo tanti viaggi fatti assieme, macinati chilometri e chilometri, ogni qualvolta rientravamo a Villa Guicciardini a qualunque ora della notte, don Carlo doveva sempre soffermarsi in cappellina a recitare compieta e le sue preghiere. Mi diceva: “vado a salutare il Proprietario di casa”. Ma poi la mattina presto, alle prime luci dell’alba, lo ritrovavi nuovamente in cappellina con la lucina accesa a pregare, a celebrare messa in compagnia di Anna Maria e Teresa; avendo però messo prima sui fornelli a fiamma lenta a bollire un grossissimo pentolone di legumi…..per giorni interi a villa non si faceva altro che mangiare legumi.
GRAZIE DON.
E’ stato per me un vero piacere ed onore conoscerti. Non ti dimenticherò mai, ti porterò e resterai sempre nel mio CUORE.
Forlì, 03/06/2020
Ciao, Mi chiamo Maruska, sono una figlia dell’Opera Madonnina del Grappa cresciuta a Galeata da Suor Magdala nella casa in cui è vissuta la sorella del Fondatore Don Giulio Facibeni.
Mi è stato chiesto di scrivere una testimonianza sul ricordo di Don Carlo Zaccaro a 10 anni dalla morte.
Eccomi qui a scrivere ciò che ricordo di lui e a testimoniare la mia stima.
Don Carlo era vice Responsabile della Casa della Madonnina del Grappa di Galeata di Via Zanetti, 5 e quindi, veniva ogni week-end per controllare l’andamento della struttura gestita da Suor Magdala.
Suor Magdala girava molto, sia per aiutare famiglie del paese che erano in cerca di lavoro o per qualunque necessità andando spesso dagli Onorevoli a Roma e sia per ottenere il cibo necessario per noi ragazzi da varie aziende.
Bisogna dire che la Provvidenza, grazie all’intervento di Suor Magdala non mancava (Parmalat, Buitoni, ditta di frutta e verdura, di Cesena, ecc.) Mandando addirittura anche un bancale di cibo in Eritrea dove dimora Suor Giusta.
Questo grazie alle alte conoscenze di Suor Magdala.
In merito, Don Carlo Zaccaro, parlava a lungo nei week-end con Suor Magdala e appoggiava in pieno tutto ciò che la suora facesse.
Sì, l’appoggiava e la stimava moltissimo.
Tant’è vero che la prima volta che io andai a Ginevra in Svizzera, ero piccola, non posso ricordarmelo ma me lo hanno raccontato, Don Carlo Zaccaro, avendo anch’egli un problema agli occhi, venne con noi.
Questo sta a dimostrare la piena e cieca fiducia che Don Zaccaro avesse in Suor Magdala.
C’è anche da sottolineare che, Suor Magdala, da persona onesta com’era, ha sempre reso conto di ogni minima cosa a Don Zaccaro.
Per quanto riguarda me ed il mio rapporto con il Sacerdote defunto, era ottimo.
Quando arrivava nel week-end Suor Magdala mi chiamava apposta per salutarlo e lui ne era felice.
Inoltre, mi parlava con calma, pazienza, affetto, come un Padre.
Don Zaccaro mi ha lasciato un ricordo molto forte in una circostanza particolare che ora dirò.
Un anno prima di morire, gli parlai e, essendomi trasferita a Forlì già da tanti anni, gli dissi che io, però, mi sentivo di Galeata e mi sentivo figlia di Suor Magdala ma anche di quella casa di Via Zanetti dove ero vissuta per 17 anni considerando che gli ultimi 4 anni li ho passati a Villa Torricella.
Lui mi rispose con un caloroso affetto paterno: “certo, tu sei di Galeata e quella sarà sempre casa tua, quando vorrai venire potrai venire ogni volta che vorrai perché sarà sempre la tua casa”.
Queste parole mi riempirono il cuore di un’emozione fortissima e di gioia.
Queste parole le porterò con me come un regalo grande da parte di Don Zaccaro, della Sua bontà, del Suo amore verso i piccoli, i semplici, verso il prossimo che ha bisogno di qualunque cosa anche di sentirsi figlio.
Ecco perché ho accettato di scrivere questa testimonianza, proprio per ricordare che Don Zaccaro era una persona che avrebbe fatto l’impossibile per aiutare qualsiasi persona in caso di bisogno ma anche l’impossibile per donare affetto paterno, per donare consiglio e conforto a chiunque.
Infatti, e concludo, ha dato tanto per i suoi ragazzi, lo ricordo bene a Villa Torricella quanto ci teneva a vedere che i ragazzi fossero trattati bene, che non mancasse loro nulla.
Vi ringrazio, a tutti dichiaro che Don Zaccaro era una Sacerdote con il cuore d’oro.
Sarai sempre nei mie Ricordi e
Buon anniversario Don Carlo!
Maruska Malanotte
Figlia dell’Opera Madonnina del Grappa
Nella vita di una persona c’è sempre un incontro che determina un nuovo cammino della sua esistenza. Per me, che vivevo dietro le mura di un carcere, fatto di unioni dissacranti, regolamenti e affronti risolti in fretta, don Carlo Zaccaro è stato come un grembo materno che ha reso sicuro un nuovo percorso, una lampada su quei primi passi incerti che hanno dato luce necessaria e sufficiente per affrontate una nuova esistenza.
Rimpiango spesso questo legame umano iniziato nel 1986 e terminato il giorno prima della sua morte. Mi manca molto, come cosi a quel mondo composto di persone, volti, storie e non oggetti da levare dalla vista e chiusi nel buio di una cella.
Il primo incontro avvenne nel carcere di Pianosa, uno dei carceri speciali più duri, in cui operava volontariamente da tempo una suor Magdala che facilitò il nostro colloquio. Nell’occasione si propose subito con processi letteralmente educativi, per Lui conoscersi era comunicare, un momento come valore. Era certo che da ciò potevano nascere idee, emozioni e creazioni per ex ducere. “tirare fuori” qualcosa di meglio da noi stessi.
Una corrispondenza non solo ideale, ma soprattutto l’attivazione di progetti verso i carcerati che introducevano novità per l’accesso al lavoro. Iniziative culturali e professionali, stage e tirocini ad hoc. Ciò significava dar vita a un percorso concreto di accoglienza, per non passare dalla solitudine della cella all’abbandono sulla strada, che la solidarietà, come potenziale progetto, permetteva la soluzione di tantissimi problemi. In una sola parola: il rilancio della speranza. Scriverlo oggi può apparire una cosa scontata, ma allora e soprattutto nella sezione Agrippa del carcere di Pianosa era inimmaginabile.
In pochi mesi, ma con molte difficoltà don Carlo con l’aiuto dei ragazzi della Madonnina del Grappa e il paziente Gasperini, ristrutturarono dalle macerie quattro mura un tempo riservate alle docce, un completo laboratorio di ceramica. La “bottega fiorentina”, permise ad un gruppo eterogeneo di detenuti una crescita individuale, riflettemmo e pensammo, anche se solo tramite una pennellata su una tela, un vaso al tornio o un manufatto di terracotta. Realizzato forse spontaneamente, spesso senza nemmeno troppo intendere quello che veniva pian piano prodotto, ma che insegnava però a ritagliarsi momenti di felicità in un luogo segregante e grigio.
Don Carlo riuscì a rompere quell’indifferenza che ruotava attorno e dentro quel mondo, ci tese una mano che stringemmo forte e gli fummo grati per questa sensibilità. Alcuni ripresero la via dello studio fino ad iscriversi ad Architettura, altri a riallacciare rapporti con la famiglia interrotti da tempo, altri ancora a sposarsi ed avere dei figli.
L’esperienza di Pianosa finì dopo con una mostra di manufatti di ceramica che vide la partecipazione e la visita di importanti autorità civili e religiose. Difficile non ricordare le nostre preoccupazioni quando il giorno prima sembrava saltasse il tutto per le forti mareggiate che colpirono quella “bistecca” in mezzo all’arcipelago toscano. Non esisteva un ancoraggio adatto per quelle condizioni climatiche. Che fece allora quel vettore straordinario di don Carlo… trovò la disponibilità di un elicottero per gli invitati e la mostra si fece!
Di quelle visite di certo dimentico tanti nomi, ma nella mia mente ho un’immagine indelebile; un detenuto grande e grosso che da inginocchiato era ancora più alto della suorina in abito bianco, ornato da una strisciolina blu che gli teneva le mani, era Santa Teresa di Calcutta.
Don Carlo ha fatto tanto per me e ancora oggi ricorro a Lui nei momenti del bisogno, certo che da la su, chiederà a Dio di fare un po’ di straordinario anche per me.
I bisogni umani sono sostanzialmente tre: il bisogno dell’uguaglianza, il bisogno dell’amicizia e il bisogno della speranza. In questi bisogni, scriveva in una delle sue lettere don Carlo, ci potremmo riconoscere tutti anche se non tutti comprendiamo che la loro esauriente soddisfazione la può dare solo Dio.
Grazie don Carlo.
Paolo (un ex ergastolano)
Sarà probabilmente per la mia giovane età, ma non saprei identificare un esatto momento della mia vita in cui ho conosciuto Don Carlo.
Del resto è pure vero che, da ben prima che io nascessi, Don Carlo ha sempre rappresentato una costante nella vita della mia famiglia.
Care memorie della mia infanzia mi permettono di ricordare le sue incursioni “a sorpresa”, spesso di sera e ad orari improbabili, presso la Località di Villa Torricella, ove la mia famiglia risiedeva, e i regali che sovente portava per me e le mie sorelle.
Una caratteristica particolare di Don Carlo era la sua determinazione nell’aiutare il prossimo, anche nelle piccole, piccolissime cose.
Emblematico di questa sua peculiarità fu un episodio, presso la Villa Guicciardini, quando mobilitò l’intera comunità per riuscire a procurarmi delle uova fresche che gli avevo chiesto e che, a ben pensare, forse non mi servivano nemmeno così tanto.
Don Carlo lasciò la sua esistenza terrena dieci anni fa, nel giorno esatto della mia Cresima e, visto il rapporto che avevo con lui, fu per me come perdere un caro nonno.
Non uso questo termine a caso: presso l’ambiente familiare, il titolo “Don” era frequentemente sostituito con quello di “Nonno”, così da creare una ingenua inconsapevolezza, almeno da parte mia, sul gigante che in realtà Don Carlo era.
Per rendermene conto ho dovuto attendere 8 anni, quando, all’inizio dei miei studi universitari presso la facoltà di Legge di Firenze, dove, forse con non poca sorpresa, ho toccato con mano il rispetto che si deve ad una vera Istituzione che, per quel che mi riguarda, rimane prima di tutto un caro Nonno
Don Carlo per me non è un ricordo ma è vivere ogni giorno i suoi insegnamenti in tutto ciò che ha contribuito a creare e lasciare nella mia vita.
La sua figura è entrata nella mia vita a 19 anni, mi ha insegnato tanto e soprattutto trasmesso il valore cristiano dell’amore gratuito verso gli ultimi ed ha contribuito alla creazione della mia famiglia.
Ho conosciuto Don Carlo a Villa Guicciardini dove sono arrivato dalla Calabria dopo la scuola superiore per iscrivermi all’università. La mia famiglia era povera e mai avrei potuto vivere una tale esperienza se non fosse stato per la Madonnina del Grappa dove Don Carlo accoglieva gratuitamente ragazzi universitari bisognosi chiedendo in cambio di fare da “fratelli maggiori” verso bambini più piccoli ospitati nella stessa struttura.
Sin dai primi giorni di permanenza a Villa Guicciardini ero rimasto colpito dalla disponibilità di Don Carlo e del suo collaboratore Luciano Bonaccorsi: ogni giorno consideravo il valore economico di quanto mi veniva offerto per cui divenne sempre più vivo dentro me il desiderio di dover ricambiare tutto ciò in qualche modo. Mi resi disponibile in tutte le cose che sapevo fare: piccoli lavoretti, tagliare l’erba del parco di villa oltre che aiutare i bambini ospiti nei compiti e altre attività della vita quotidiana.
Vivevo l’Opera, come diceva Don Carlo, non come un orfanotrofio ma come una famiglia affiancato anche da ragazzi con qualche anno in più di me.
Dopo due anni dal mio arrivo a Villa Guicciardini, chiesi a Don Carlo se potevo essere raggiunto da mio fratello che finiva il liceo e avrebbe voluto iscriversi anche lui all’università: mi rispose di si, in via eccezionale, per qualche tempo perché non riteneva positivo ospitare due fratelli nella stessa casa. In realtà io e mio fratello Mario siamo rimasti accanto a Don Carlo per molti anni, Mario fino
all’ultimo giorno di vita terrena di Don Carlo.
Ho preso la patente ed ho iniziato ad accompagnare Don Carlo nei suoi vari spostamenti fino al luglio 1997 quando andai con lui in Albania a visitare la casa famiglia dove si prendeva cura di bambini cerebrolesi. Don Carlo rientrò in Italia per qualche giorno ed io rimasi in Albania per fare dei lavoretti che avevamo pianificato e in questo frattempo ho conosciuto Rosy, la ragazza che poi sarebbe diventata mia moglie. Al rientro di Don Carlo in Albania gli ho subito raccontato l’accaduto, con la stessa confidenza di un figlio al babbo perché questo era diventato lui per me.
Ero consapevole che questa notizia avrebbe allertato Don Carlo perché, un po’ come era al Meridione, conoscere una ragazza in Albania era un passo compromettente soprattutto per le famiglie e la mia era rappresentata da Don Carlo: in definitiva il giorno dopo Don Carlo mi fece rientrare in Italia, stemmo zitti per tutto il viaggio fino alle porte di Firenze dove Don Carlo mi guardò e disse: “…se son rose, fioriranno!!”. Io risposi soltanto dicendo che le mie intenzioni erano serie. Dopo una settimana, mi chiamò chiedendomi se avessi avuto piacere a ritornare in Albania: rimasi stupito e non capivo se scherzava o era serio. Mi scosse con uno dei suoi pugni sulla spalla e mi disse: “…corri in agenzia a prenotare il biglietto!…” per me e un’altra persona da accompagnare in Albania a visitare la Missione.
Da allora Don Carlo ci ha sposato e battezzato i nostri bambini, così come è accaduto poi anche per mio fratello Mario.
Ho avuto un grande dono da Dio: conoscere un uomo instancabile che ogni giorno si è dedicato ai più bisognosi dall’alba fino a notte fonda; una persona di elevata cultura e conoscenze influenti messi al servizio dei più poveri; un sacerdote eccezionale capace di ascoltare e accogliere tutti indipendentemente dalla fede religiosa, provenienza geografica o credo politico; un babbo che ha tirato su numerosi figlioli desiderando per loro i più alti traguardi nello studio e nel lavoro e pieno di gioia nell’accarezzare i nipotini!!
Sarò per sempre grato al Signore per avermi fatto incontrare Don Carlo ed averlo reso mio paterno maestro e compagno di vita.
Egidio Guerriero
Mi chiamo Primo,
… avevo appena compiuto 16 anni quando il destino mise una calorosa ed intensa luce sul mio cammino annebbiato e poco illuminato. Luce che grazie al colore dissolse la nebbia e con l’intensità mi permise di vedere anche cose che prima ignoravo, come la bellezza della vita e le magiche combinazioni che il mondo ci offre.
Una luce come questa fa breccia nel cuore, illumina l’anima e non se va più, questa luce per me si chiama “Don Carlo”, che continua a brillare in me e sono sicuro in tutti quelli che hanno avuto la fortuna di incontrarlo…
Porterò sempre con me, la sua incredibile voglia di aiutare il prossimo, come un contadino che coltiva il suo orto, Don Carlo coltivava il suo tempo con buone azioni, anche dove il “terreno” era arido, anche dove coltivare benevolenza comportava rischi e difficoltà di diverse nature…
Porterò sempre con me, la sua inesauribile energia, non si fermava mai!! Andava in Albania spesso anche per una sera e basta, tornava a Villa e senza nemmeno riposarsi via con il pulmino o la passat su per il passo del muraglione pieno di curve( stancante solo nell’immaginarlo anche dopo in settimana di riposo…) per andare a Galeata, a sistemare, a prendersi cura di altre persone, abbassando le palpebre solo durante i tragitti come se volesse ottimizzare il tempo a disposizione, come se il mondo fosse il suo orto ed il raccolto la gioia delle persone…
Porterò con me, il suo sorriso, la sua voglia di scherzare: come quando eravamo tutti insieme si avvicinava al più silenzioso e lo colpiva leggermente con pugno, come per dirgli “sveglia, sei giovane…” come se ci volesse dire: “sorridete, sorrido, sorridiamo…”
Ho trascorso 3 anni e mezzo a Villa Guicciardini, un periodo molto importante della mia vita dove Don Carlo vivendo la sua missione mi ha insegnato ad assimilare la vita come una lezione…
“Ci sono persone belle, altre bellissime. E poi ci sono persone speciali, che non riesci nemmeno a pensarti senza pensare anche a loro.
Ci sono anche forti e tantissimi fragili, alcuni non hanno bisogno di essere salvati, ma tanti altri si! Per questo Dio sceglie tra quelli più forti, come nel caso di Don Carlo, fornisce a loro un’energia inesauribile e riempie il cuore di un incondizionato amore, illuminando così la via a tantissimi fragili che vagano nel buio…”
Primo Cukaj
Firenze, giugno 2020
Sembra ieri, ma sono passati più di venti anni, quando conobbi Don Carlo, ansimante, dopo aver fatto le due lunghe rampe di scale della Facoltà, per venire a trovarmi . Ne apprezzai subito la cordialità, la sensibilità e la spiccata intelligenza. Da allora e fino alla scomparsa i contatti con Don Carlo sono diventati sempre più frequenti e caratterizzati da stima e affetto. Mi confidava i non pochi problemi dell’Opera, dei ragazzi e dell’attività in Albania, ma era sempre ottimista perché, come mi diceva, “la Provvidenza” sarebbe intervenuta.
Con Lui abbiamo perso una guida spirituale e umana non comune.
Grazie, caro Carlo, per l’amicizia che mi hai donato e di cui sono tuttora orgoglioso
Camillo
Erano gli inizi degli anni ’90 quando entrai all’Opera come obiettore di coscienza. Circa un anno prima avevo parlato con Don Carlo di questa volontà di fare il servizio civile e lui aveva deciso che dovevo farlo alla Madonnina del Grappa. Non so quante persone abbia conosciuto in vita sua, sicuramente migliaia, ma mi è sempre sembrato che avesse un’idea chiara per ognuno di noi, un ruolo, un compito da svolgere per il bene proprio e degli altri. Ed io ovviamente non facevo eccezione. Don Carlo lo avevo conosciuto molti anni prima, quando i miei genitori erano rimasti folgorati dalla sua persona e dalle sue omelie, come parroco di Sant’Antonio al Romito e avevano deciso che avrei seguito il catechismo in quella parrocchia, anche se non era la nostra. Credo sia stata una grande benedizione avere avuto il suo imprinting (e i suoi forti amichevoli schiaffi!) fin da bambino e ricordo con una nitidezza indescrivibile quel Giovedì Santo in cui ci dette la prima Comunione, perché provai una gioia così piena come poche altre volte nella vita. In realtà lo stesso sentimento lo avevo sperimentato una settimana prima, quando ci aveva portati a Villa Guicciardini per la giornata di ritiro: in quel luogo mi sembrava tutto bellissimo, comprese le persone incontrate fugacemente e non avrei mai pensato di rientrarci molti anni dopo, non più come visitatore, ma come amico e fratello di chi ci abitava. Ho sempre avuto un certo pudore a chiedere a Don Carlo un po’ di tempo per parlare con lui, perché ero consapevole che il suo tempo fosse indispensabile per tanti che avevano più urgenti e profonde necessità delle mie. Io non ero infatti uno degli “ultimi”, venivo da una famiglia che augurerei a chiunque, senza i problemi della povertà e nemmeno quelli della ricchezza. Tuttavia Don Carlo sembrava nel profondo non fare differenza per nessuno: credo che tutti coloro che lo hanno conosciuto abbiano avuto la sensazione di essere persone per qualche ragione speciali ai suoi occhi, al di là della propria storia, delle proprie necessità, della propria normalità o delle proprie debolezze. Ed è sicuramente per questa fiducia che Don Carlo era capace di infondere, che, quando timoroso varcai la soglia della casa famiglia appena nata di Via Carlo Bini, o quasi dieci mesi dopo il cancello della casa di Quercianella, pensai che qualcosa di buono lo avrei potuto fare, nonostante la totale mancanza di esperienza e forse anche di naturali attitudini. Ed in effetti qualcosa di buono l’ho fatto: sono stato bene. Stavo bene accanto ai giovanissimi membri della casa di via Bini durante i loro compiti pomeridiani, la sera insieme a cena, durante le leggere o profonde conversazioni prima che si addormentassero, o quando giravamo fuori insieme per Firenze, e ugualmente con ragazzi conosciuti da pochi giorni d’estate durante le caotiche Quecianellia di (chissà se qualcuno se le ricorda ancora…), e ancora bene quando sono stato con i ragazzi di via Bini non più da obiettore, e dopo a Villa Guicciardini con la scusa di venire a trovare alcuni dei “miei” ragazzi che là si erano trasferiti. Credo di sapere perché stavo bene: perché quelli erano rapporti veri, era vita vera, autentica, anche se con molte difficoltà da affrontare, e la vita vera, per quanto complessa, è un bene preziosissimo, contagioso. Penso quindi che questo mio stare bene abbia portato un po’ di bene anche a chi me lo generava. Don Carlo, che è stato padre energico e madre tenera di molti ragazzi, forse un po’ di tutti noi che abbiamo conosciuto il suo sorriso, è stato anche l’anima di questo bene autentico, pieno di cura nella sua essenzialità, e in questo noi siamo veramente fratelli, poco importa se siamo stati insieme molte ore o ci siamo incrociati solo per un secondo: lo siamo comunque stati e lo saremo sempre.
Ricordo di don Carlo Zaccaro
Anno 1993, un anno di servizio civile alla Madonnina del Grappa.
Esperienza unica ed indimenticabile, ricordi importanti. Un’esperienza che molti ragazzi dovrebbero fare per ritrovare i valori che si stanno perdendo. Forse, solo minimamente, questo virus, che ci ha colpito nel 2020, ha permesso di ritrovare, solo in piccolissima parte, i valori di famiglia, non solamente affettivi ma quelli veri anche verso il prossimo.
Avevo ventitre anni quando ho iniziato ad andare a Villa, villa Guicciardini, per il servizio civile. A quell’eta’ si e’ spensierati ma ci si trova a vivere in una realta’ di una “comunita’” particolare dove trovi una Persona con la P maiuscola, Don Carlo Zaccaro, maestro di vita e dispensatore sempre della parola giusta, e quando si pensa di essere in difficolta’, nessuna paura c’e’ la Provvidenza.
Don Carlo e’ stato capace di creare un gruppo molto unito dove tutti si aiutano a vicenda. A Villa non si e’ mai soli, i ragazzi grandi, gli studenti universitari, aiutano i ragazzi piccoli nei compiti e nella loro gestione. Gli obiettori sono solo un piccolissimo supporto alla grande opera che vive a Villa.
L’attivita’ giornaliera e’ frenetica ma non manca mai niente a nessuno, si cerca di dar attenzione a tutti soprattutto a quei piccoli ragazzi fragili che si sono ritrovati a Villa perche’ privi, per alterne vicende ,della propria famiglia. Purtroppo molti, seppur piccoli con storie non piacevoli da affrontare quando invece avrebbero meritato di essere spensierati e non doversi essersi trovati nel mondo con problemi che spesso gli adulti hanno difficolta’ a gestire.
Veder sorridere ed esser felici questi ragazzi da gioia immensa e quando ti ringraziano ti accorgi che lo fanno di cuore e per questo che ti viene di dare il massimo per loro.
Tutti questi ragazzi avevano sempre un riferimento che era Don Carlo. Spesso era impegnato al telefono o aveva riunioni, ma poi trovava sempre qualche momento importante da dedicargli.
Don Carlo era una persona dalle mille risorse, era inesauribile, partiva la mattina presto per poi fermarsi solo a tarda sera. In quel periodo inizio’ il progetto con L’Albania e faceva spesso viaggi per organizzare di persona tutte le attivita’. I primi viaggi in Albania erano pieni di problemi, ma mai Don Carlo ho dato la minima impressione di esitazione.
Mentre organizzava il progetto in Albania, portava avanti l’organizzazione a Villa, alla Torricella, le vacanze dei ragazzi a Quercianella, o la settimana bianca a Valtournenche.
Per poter capire il ritmo di come pensava e come agiva questa Persona bastava stargli vicino per qualche attimo e un filo conduttore faceva andare avanti tutto senza esitazione, Don Carlo di trasmetteva la forza della Provvidenza.
E’ tutt’oggi incredibile pensare alla fiducia e fede verso il prossimo che aveva questo uomo. Lo trovavi presente agli impegni sociali, ai grandi progetti di aiuto verso paesi in guerra come l’Albania, ma poi magari la sera lo trovavi a cena, tutti insieme, a villa, felice di ogni piccolo momento che stava vivendo.
Mi ricordo tanti momenti in cui don Carlo era presente nella vita quotidiana di villa, passando, per entrare in casa, dava uno sguardo a chi giocava a pallone nel campetto, oppure passava nella limonaia dove si faceva la ceramica, oppure nella cappellina. Non mancava di esser presente anche solo per poche ore anche durante le vacanze a Quercianella o nello Chalet di Valtournenche.
Inoltre posso dire di aver avuto l’onore di esser stato sposato, nel 2003, da Don Carlo, so che per lui non sia stato facile con tutti gli impegni che aveva e con il dolore al piede che gia’ da qualche tempo l’affliggeva. Sono stato molto felice che in un giorno particolare e cosi’ importante sia stato lui a consacrare il mio matrimonio.
Grandi ricordi di un periodo bellissimo grazie a questa splendida persona e a tutte le persone che ha fatto crescere vicino a se, una su tutte il mio grande amico Carlo Zap.
Subito dopo che Don Carlo ci lasciò, il 15 maggio 2010, sotto la sensazione forte della sua irrevocabile mancanza fisica, scrissi di getto (per Il Focolare dell’Unione Figli – giugno 2010) queste poche parole.
“Un’Oasi è scomparsa
Come nomade che percorre usualmente sentieri di terre desertiche e spoglie ma che periodicamente ricerca e ritrova la sua verde oasi ricca di fresca acqua pura dove rinfrancarsi per poi ripartire con fiducia ed energia, così oggi mi appaiono le visite che salendo per via di Montughi, invitato o in visita spontanea, mi offrivano gli incontri con Don Carlo.
Incontri del tutto informali ma sempre ricchi di quella ricchezza di cuore e di anima che Don Carlo possedeva e spontaneamente offriva, senza particolari formalità, e con una sua speciale capacità di farti sentire coinvolto e partecipe anche per un solo momento di quanto ti confidava circa i suoi progetti presenti e futuri. Il suo ottimismo nonostante tutto e la sua facibeniana apertura verso la sofferenza fisica e spirituale dei più sfortunati, che aiutava con la generosità, la serenità e la fiducia di chi pur dando tutto sé stesso sa che i risultati non dipendono da lui, riuscivano a far vedere le persone e la vita con la leggerezza di chi vive “casualmente” quaggiù sapendo però che il suo destino è il cielo.
Ora quest’Oasi non c’è più ed anche se permane vivissimo il suo ricordo e la “freschezza” di quegli incontri ancor più questa mancanza ci porta ad una inevitabile mestizia che vogliamo però sperare, ma solo per la misericordia infinita del Signore, possa rendere ancora più gioioso il futuro incontro con Don Carlo nell’eternità.”
A dieci anni di distanza devo riconoscere però che non si è affatto affievolito il senso della sua presenza e il suo ricordo: quasi quotidiano.
Al momento, in quelle poche righe non trovai l’ispirazione a proporre con serenità qualche riflessione sulla sua forte carica umana e sacerdotale totalmente dedicata a seguire il solco del carisma di Don Giulio Facibeni da lui sempre amato e ammirato, non solo per la dedizione ai più poveri ed emarginati ma per la di Lui intelligenza, santità e per la sua fiducia profonda e incrollabile nella Divina Provvidenza.
In questo senso Don Carlo meditava e si ispirava costantemente, nella sua attività, alla figura di Don Giulio.
Tantissime volte ho avuto occasione di sentire sue particolari affermazioni riferite alla persona di Don Facibeni che mettevano in luce aspetti e sentimenti non comuni.
Era solito affermare che il Padre non si sentiva affatto il “fondatore” dell’Opera Madonnina del Grappa ma, come affermava di sé stesso, solo il “facchino” della Provvidenza Divina.
Don Carlo era anche solito dire che la figura umana e sacerdotale di Don Giulio, oggi venerabile, aveva una rilevanza di gran lunga maggiore dell’Opera stessa, volendo con questo significare che Don Facibeni con l’Opera aveva voluto portare tra la gente, come sacerdote e parroco, l’esempio della più alta forma di evangelizzazione e di testimonianza della paternità di Dio che si china indistintamente su tutti e su tutte le miserie. Indubbiamente con questa sua ”predicazione viva” era riuscito a muovere, commuovere e in gran parte anche a “convertire” prima la gente di Rifredi e poi di tutta Firenze e non solo. L’Opera della Divina Provvidenza Madonnina del Grappa, da Lui portata avanti con santa, logorante fatica, era l’innegabile sigillo di questa paternità di Dio ed a questo voleva che tutti guardassero con fede.
Crediamo che oggi più che mai Don Carlo, di Don Giulio Facibeni parroco e sacerdote, accoglierebbe con gioia la riconosciuta connotazione profetica fortemente in linea con il pensiero e la predicazione di Papa Francesco.
Ogni incontro con te mi metteva in crisi. Siamo così inclini a trasferire sul piano dei sentimenti il nostro Cristianesimo. Una visita a te era non solo una gioia dello spirito, e ricordarti oggi lo è ancora, ma era, ed è soprattutto, il vedere concretizzarsi quel Cristianesimo che spesso noi viviamo stancamente nei nostri sentimenti e fatichiamo a trasferirlo in gesti concreti e quotidiani. La tua invece, una vita spesa totalmente per gli altri, investendo salute e sentimenti per la felicità degli altri, senza condizioni. Ci ricordavi spesso, parafrasando una frase del Padre: “quando vi vedo sorridenti, questo mi dice che l’ Opera non ha lavorato invano”.
Ho molti ricordi sempre vivi, dall’aver avuto il privilegio di aver vissuto accanto alla tua camera a Villa Guicciardini, dai numerosi nostri incontri personali in cappella, come i lunghi viaggi in Albania in cui si divideva tutto: dal tempo delle interminabili guide in auto, alle notti in cuccetta nella nave.
Più forte è però il ricordo dell’ultima volta che ci siamo incontrati in questa vita. Un ultimo incontro che ha tuttavia preceduto altri incontri: nei sogni, come il riascoltare la tua voce viva in me. Tutto ciò mi fa compagnia ma anche mi rimprovera… Era una Domenica, pranzammo presto con mamma Sestilia a casa a Castiglione. L’appuntamento era per le tre del pomeriggio, alla casetta di Renato, dove mi avresti aspettato con il fedelissimo Luciano. Sapevo che da Castiglione a Villa Guicciardini avrei impiegato presumibilmente due ore. La strada la macchina la conosceva a memoria. Così fu! Parcheggiai vicino al “cancellino” della Villa. Poi la mano al di là delle sbarre del cancellino per aprire premendo il pulsante, come chi lo sa a memoria per averlo fatto, forse, migliaia di volte… perché è di casa. Entrai bussando senza aspettare che mi venisse aperto. Luciano mi fece strada e mi accompagnò da te che mi aspettavi. Il motivo dell’incontro era, non solo quell’incontro periodico che facevo con la frequenza che potevo a causa dei miei sporadici ritorni dalla Germania, ma mi si imponeva una decisione importante. Almeno così mi sembrava. Anche altre volte avevo chiesto aiuto al tuo discernimento ed alla tua preghiera. Mi ricordo che ti raccontai di cosa si trattava. Si trattava di accettare o meno un lavoro in un’altra Università, la cosa avrebbe impegnato la famiglia forse per sempre, cambiare continente, cambiare tutto. Mi ascoltasti con l’attenzione di sempre e mi invitasti a seguirti in cappella. Lo schema era quello di altre volte. Aggiungesti tuttavia: “quando il Padre doveva prendere una decisione importante si raccoglieva intorno al tabernacolo”. Così facemmo anche noi. Dopo aver meditato sugli aspetti della decisione ci lasciammo ad un lungo silenzio concluso con una preghiera. Cercasti, forse invano come altre volte, di spiegarmi che molto spesso c’è bisogno di prudenza che, a parere di una certa cultura, la prudenza può apparire una piccola virtù ma di fatto è una grande virtù perché è discernimento. Virtù che solo Dio può dispensare, perché solo Lui ha la capacità di vedere dentro e fino in fondo alle cose, come fino in fondo ai giorni della nostra vita. Questa capacità, mi dicesti come altre volte, si può esercitare solo attraverso la preghiera perché solo Lui conosce la natura delle cose, come pure la nostra natura e ciò di cui abbiamo davvero bisogno. Mi spiegasti nuovamente, che noi creature non siamo predestinati, ma siamo destinati. In questo contesto mi ricordasti una frase di Karl Barth che spesso avevi richiamato in altre circostanze: “Cogitor ergo sum” – “Sono pensato, dunque esisto”. In questa rivoluzione copernicana, in senso filosofico, tu vedevi una rivoluzione di pensiero. Da un egocentrismo razionale ad un personalismo in cui non la nostra ragione è protagonista, ma l´amore di Dio che è e che fa essere piena la nostra vita perché ci rende figli. Mi ricordasti che più avanti Barth continua dicendo “La libertà è il potere di essere ciò che dobbiamo essere”. Come a dire, c’è un dovere nella libertà che dà senso a questa. Tu ci ricordavi sempre, è il dovere di essere figli che ci rende liberi. Perché amato da Dio, il figlio è a casa. Parlammo a lungo di aspetti diversi, in particolare dei pericoli spirituali che corriamo ricordandomi la Lettera a Costanzo Imperatore del Vescovo Ilario di Poitiers a te cara. Di questa mi ricordasti alcuni bellissimi passi attualissimi anche oggi perché combattiamo spesso contro gli idoli, contro uno “scaltro persecutore che non taglia la testa, ma solletica il ventre e uccide l’anima degli uomini onorandoli con la schiavitù del Palazzo e dell’oro…”
Mi invitasti a prendere tutti i libri della tua biblioteca, ma non lo feci. Presi solo quelli di cui altre volte avevamo sviscerato i contenuti nelle nostre conversazioni. Tra questi mi affidasti, un tuo scritto al quale tengo molto, dal titolo “Un invito di Don Carlo Zaccaro ai figli dell’Opera, autentiche lettere credenziali di don Giulio”. Prima perso, ma poi ritrovato grazie ad Andrea ed alla Tina.
Cenammo insieme, preparasti da solo in cucina per me una minestra. Non c’era altro, dato che era tardi mi preparasti due panini e due mele che mi mettesti in un cestino per il viaggio verso Castiglione dicendomi: “mangia lungo il viaggio…”. Questi gesti, come i gesti semplici di Gesù ad Emmaus, come altre volte da te ripetuti, spero mi accompagnino come monito e segno della presenza viva di Cristo che si manifestava e si manifesta attraverso di te. Questo lasciarsi con “l´eredità” del cibo, geniale! Come sapevi essere tu sempre, voleva dirmi, prendi questo e alimentati nel cammino della tua vita e non dimenticare questi gesti, questo linguaggio, questa lingua che ti appartiene, fai tuo questo… e sarai felice qualsiasi decisione sarà.
Anche solo per questo incontro, coronamento di più di dieci anni vissuti a fianco, ascoltato, assistito come un figlio a cui si devono attenzioni e grande affetto, mi dovrei vergognare. Solo la vergogna potrebbe salvarmi da quella ancora mancata Metanoia verso la quale mi incoraggiasti a muovermi. Ciò che salva è solo il nostro cammino di eterno ritorno, dicevi. Il ricominciare da capo. Mi salutasti con la mano. Ti vedo ancora oggi, mentre mi aprivi con il pulsante il cancello della Villa…. non potevo immaginare che era l’ultima volta che ti avrei visto in questa vita… la tua presenza è tuttavia forte nella mia vita. I sentimenti che ispira il tuo ricordo sono sempre gli stessi. Chiedo solo perdono per non aver colto a pieno la testimonianza vissuta all’Opera. Tuttavia mi incoraggia il fatto che non ti stancavi mai di ricordarmi, che si ricomincia sempre da capo e dobbiamo avere il coraggio di farlo…. altrimenti saremo preda del demonio che scimmiotta la stessa domanda che Dio pone ad Adamo: “Dove sei”? Ma mentre Dio, sapendo già dove Adamo si trova, con la domanda vuole chiedere “dove ci troviamo adesso nel nostro percorso umano”… ”dove ci troviamo nel nostro divenire persona”…. il demonio va avanti e dice, “al punto dove sei non c’è ritorno”. Ora sta a noi avere il coraggio di ricominciare… di ritornare… dobbiamo avere il coraggio di quella Metanoia salvifica…. come in quell’immagine pittorica che mi ricordasti: nella Firenze alluvionata i Re Magi al chiaro di luna passano per le vie con una piccola barca… si ricomincia da capo. È come abbandonarsi alla Fede che è un po’ come pensare che qualsiasi cosa accada andrà tutto bene, anche se a noi non sembra… mi ricordo quel tuo “tutto bene”…”coraggio”! Vorrei avere per il resto dei miei giorni la possibilità di riassaporare quel pane che mi desti, quelle parole di grande affetto che ho sempre sentito in ogni incontro con te. Mi mancano le tue parole, come il tuo pensiero profondo ma anche quella vergogna che sentivo viva quando ero con te per le mie inadeguatezze ed omissioni. Quella vergogna mi può ancora salvare. Ricordandomelo amorevolmente mi dicevi spesso: “Dio ti ama, anche se tu non lo meriti”…. Mi rammarico da sempre di non aver capito e di continuare a non capire, ma non so dove è la mia colpa…. anche perché mi dicevi che noi capiamo solo ciò che Dio ci fa capire… Dovrei imparare almeno a vergognarmi per tutto quello che ho avuto, per la mia ingratitudine e ancora per non capire…. la vergogna mi potrebbe salvare… Non vorrei dimenticare di dirti che al ritorno in Germania… non ci fu bisogno di prendere nessuna lacerante decisione…..
Grazie di avermi accompagnato, grazie per farlo ancora con la tua voce che posso ancora sentire come pensiero che veglia, con le visite in sogno, menomate tuttavia dalla tua assenza fisica! Non vorrei dimenticare mai quei piccoli gesti di quell’ultimo incontro, che hanno accompagnato tuttavia da sempre il nostro stare insieme, come quel tuo “linguaggio” … archetipo di fede vissuta nei gesti più quotidiani.… come i nostri archetipi più veri… su un tuo libro che mi invitasti a leggere attentamente non a caso mi scrivesti poco prima di partire per Castiglione… “a Paolo perché non dimentichi mai la bella lingua di Castiglioni!”.
Un Grazie da parte mia con la Fede di rincontrarti un giorno, ti chiedo una preghiera come sempre … con affetto e stima… Grande! Tuo Paolo
PENSIERO PER DON CARLO
“Carlooooo!!” Gridava Luciano nei corridoi di Villa.
I pugni sul tavolo alle 6 di mattina, i cazzotti a sorpresa nella spalla, le chiamate a qualsiasi ora “c’è da andare a prendere Don Carlo!”, le telefonate con il bavaglio che interrompevano un pasto “Prontoooo!” e le parole magiche “io avrei un’ideina…..bene bene bene!”, il ritmo ben scandito e instancabile come una cascata che scaturisce continue idee animate da un unica forza: l’amore per il prossimo.
Fin da quando sono piccolo mio babbo, Rossano, mi racconta di Uomo speciale, capace di imprese al limite della realtà, quasi un supereroe, “Zaccarus”, con il potere più grande di tutti, quello di aiutare gli altri.
Quando sono arrivato a Villa Guicciardini dove ho avuto la fortuna di iniziare il mio percorso universitario e dove ho potuto conoscere da più vicino Don Carlo Zaccaro, o meglio “LOMO” , senza apostrofo come lo chiamava qualcuno, non ho potuto che avere una felice conferma di tutto quello che mio babbo mi aveva sempre raccontato e anche di più, dal viaggio di mia nonna da Bagno di Romagna a Firenze per conoscerlo, agli episodi alle Casette fino al rocambolesco matrimonio con mia mamma, ed altro ancora.
Inevitabilmente il mio percorso è stato segnato da quest’Uomo e dal suo esempio, i cui frutti cerco di mettere nella mia quotidianità, così come credo tutti quelli che l’hanno conosciuto e in particolare noi “Architetti della Casetta” che abbiamo ancora un legame che spero non finisca mai ( e questo credo sia il più bel regalo che ci ha fatto ).
Come tutti i grandi che hanno donato la propria vita agli altri, “Zaccarus” ha lasciato ad ognuno di noi un pezzetto di se ed ognuno di noi ha un “suo Don Carlo” dentro, e rimettere insieme tutti i pezzetti, i regali che ci ha fatto, è un qualcosa che scalda il cuore.
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Antonio Montrone
Con il cuore e nel ricordo di mio zio Don Carlo sarò presente anche io
Gianluca Pesti
Ciao Zappo ti mando quello che è e rimarrà il mio pensiero nei riguardi del Don… #penso che per tutti quelli che lo avvicinavano che avevano la fortuna di avvicinarlo, anche arrivando da continenti diversi, abitudini di vita vissuta diverse dalla sua, avesse sempre un stabilità emotiva grande che bastava ascoltarlo un attimo per capire che avevi di fronte :una guida e un punto di riferimento che ti avrebbe cambiato dal profondo, come un vero padre che ha un immensa fiducia nei propri figli.
La sua stretta di mano la ricorderò per sempre!!
grazie!!!
Giovanni Capponi
RICORDANDO DON CARLO ZACCARO
Sono passati 10 anni dalla tua scomparsa, ma tu sei sempre presente nella mia vita, mi spiego meglio…….ripartendo dal giorno in cui mi sono laureato (uno tra i più bei giorni della mia vita) al quale tu hai partecipato in maniera fondamentale, mettendo in pratica le parabole del Vangelo che vivevi giornalmente con la tua quotidianeità, senza farle passare per eventi eccezionali ma dandogli un sapore davvero semplice, fraterno, sincero.
Alla fine del pranzo di laurea, nel quale sia io sia i miei familiari non potevamo far altro che ringraziarti per avermi permesso di vivere quella esperienza unica, formativa, evangelica di studio e di condivisione con dei ragazzi più piccoli e bisognosi di affetto, cure, dedizione ai quali, inizialmente vivevo con distacco e poi nel tempo mi ero molto attaccato considerandoli come dei fratelli più piccini di me, tu rispondesti a tutti noi che ringraziavi Nostro Signore perché era più quello che avevi ricevuto da ognuno di noi, piccolo o grande, che ciò che avevi dato……..
Beh! Ancora una volta davi dimostrazione della tua immensa fede, umiltà, sensibilità. Che grande testimonianza mi hai dato di perseveranza, coerenza, onestà d’animo e come mi dicevi spesso nelle nostre chiaccherate serali, Iddio non ha casacche aiuta tutti con amore instancabile.
Questo messaggio lo hai sempre portato avanti per tutta la tua vita e lo hai ancora di più vissuto in tutte le tue manifestazioni, infatti circa 20 anni fa ti raccontai che un ragazzo musulmano, vista la nostra accoglienza, stava seriamente pensando di diventare di fede cristiana, tu mi rispondesti ……..mi raccomando non forzare nulla deve decidere nel suo cuore in tutta tranquillità ed autonomia ma comunque noi lo aiuteremo sempre indipendentemente dalla sua scelta.
Grazie don Carlo per avermi insegnato con la tua testimonianza concreta una fede come un nuotatore si comporta in mare aperto e non nella piscina di casa…….
Vito, Francesco e Aurelio Militello
Don Carlo ci ha voluto molto bene, ci faceva sentire a casa: x noi è stato come un papà, lo ricorderemo sempre con grande affetto e stima. In particolare, mi piace ricordare quando ci portava a pescare: riusciva a coinvolgere noi ragazzi con la sua allegria, i suoi modi di fare dolci.. Quanti bei momenti impressi nel nostro cuore, farà sempre parte della nostra vita.. Grazie don Carlo!!
Christian Anichini
Febbraio 1987 fu il mio ingresso a Villa Guicciardini, reduce da un altra casa famiglia manesca ( in tre mesi scappai 2 volte fino a non volermi più ).
Non ero tanto per la quale a rientrare in una altra casa famiglia però quella mattina, accompagnato da il grande amico Renato Camporesi, ( già mio tutore nel 1985 alla Madonnina del Grappa di via delle panche), vidi per la prima volta Don Carlo.
Renato ci fece conoscere e quando Don Carlo mi chiese il nome ebbi la sensazione di una bella persona calma, tranquilla e amorevole.
Renato prese a braccetto Don Carlo e spostandosi di qualche metro ( stringendo un po’ la loro chiacchierata ) senti queste testuali parole:
Sa Don Carlo, viene da un altra casa famiglia un po’ particolare e se lui non si trova bene scappa subito!
Don Carlo, ascoltandolo con tutta la sua attenzione gli rispose con una frase che mi è rimasta impressa nella mente:
“ ….qui il cancello e’ sempre aperto……se vuole può scappare quando vuole, nessuno lo lega e l’obbliga!!
Rimasi spiazzato…..e nello stesso tempo un senso di grande libertà, anche perché da lì a poco mi resi conto di che pasta era questo uomo!!
Voleva bene a tutti, era attento a ogni ragazzo, sapeva rendere felice ognuno di noi, per tutti le stesse attenzioni e amore!!
“ Calma i tuoi bollenti spiriti”…..il massimo della sua arrabbiatura ( per lo meno con me ), insomma un grande uomo!!!……non ci ha fatto mancare nulla!!
Dalla sala giochi, alle vacanze a Quercianella, al Cimone,madonna di Campiglia, Villa Torricella, a Pianosa per ben due volte,…..sapeva fare tutto quello che ci rendeva felici!!
Personalmente a volte ho detto di aver vissuto a Villa Guicciardini momenti d’infanzia belli…..forse i più belli, dovuti dal fatto di essere stato accolto veramente con il cuore e con l’amore di aiutare ragazzi difficoltosi, questo era Don Carlo……aiutare e dare amore all’infinito senza un traguardo proprio!!
Nella mia vita sei stato importante quanto fondamentale negli anni più difficili……porto con me ancora parole indelebili nel mio cuore….. un giorno ci rivedremo per un grande abbraccio e lo spero davvero,…..ti voglio bene!! Christian, uno dei tuoi tanti ragazzi!!😘
Davide Li Trenta
Ricordando don Carlo Zaccaro nel decennio della sua morte terrena 2010-2020.
Lo ricordo con grande stima, quando era in vita. Lo ho conosciuto nei primi contatti con l’Opera a Firenze tramite don Piero Paciscopi, e Marigù (Maria Augusta Pelleri) collaboratrice dell’Opera M.G.
Come volontario e autista ricordo i molteplici viaggi fatti con don Carlo con i vari mezzi dell’Opera. Vorrei mensionarne tre.
Primo: ho avuto il privilegio di conoscere il dott. Ettore Bernabei a casa sua a Roma. Poi anche il dott. Citterich.
Secondo: siamo andati in Svizzera a trovare un sacerdote con il quale nei primi anni andava in Albania per la Missione a Scutari.
Terzo: ultimo viaggio a Pietrelcina, paese natio di San Pio. Don Carlo diede una grande testimonianza dell’Opera di don Facibeni in una parrocchia di Benevento.
Il mio ricordo personale: come sacerdote mostrava attenzione verso gli ultimi “emarginati” “poveri”. Aveva sempre una buona parola per tutti. Anch’io venendo da una situazione di solitudine quando persi i miei genitori e i miei suoceri e mia moglie mi sono sentito sollevato dandomi dei giusti consigli.
Ho visto la sua generosità aiutando molte persone in stato di bisogno che venivano a trovarlo a Villa Guicciardini. Ricordo in particolare quando insieme a don Carlo siamo andati alla stazione dei treni a Firenze S.M.N. per prendere degli amici suoi che sono venuti a trovarlo a Firenze.
Mentre aspettavamo il treno in arrivo don Carlo nota una signora girare per la stazione in cerca di aiuto. La portò al bar della stazione e le offrì da mangiare.
Queste brevi esperienze dimostrano che in tutta la sua vita da sacerdote e missionario dell’Opera Madonnina del Grappa fondata da don Giulio Facibeni è stato un vero “servo” del Signore Gesù Cristo. E aggiungo è stato un grande e instancabile lavoratore nella “vigna” del nostro Signore Gesù Cristo.
Galeata, domenica 24 maggio 2020.
Anna Maria Baglione
Ricordo di Don Carlo Zaccaro.
Don Carlo Zaccaro entrò nella nostra vita e nei nostri affetti alla fine degli anni 70, dopo il nostro rientro a Firenze.
Avevamo abitato per vari anni a Venezia dove mio marito svolgeva il ruolo di giudice minorile. Tra le varie persone conosciute in quella città l’incontro più importante fu con il professor Vittore Branca e la sua famiglia, incontro che si trasformò in un’importante e profonda amicizia.
Quando il figlio Ludovico si iscrisse alla facoltà di lettere a Firenze, il professor Branca si rivolse a noi e a Don Carlo, che conosceva bene fino dai tempi della Resistenza, perché lo aiutassimo ad inserirsi nell’ambiente fiorentino. Da quel momento cominciammo a frequentare villa Guicciardini, a partecipare agli incontri che vi si tenevano con personaggi importanti della cultura e della politica che Don Carlo conosceva e che venivano per incontrare e parlare ai giovani e far capire secondo gli insegnamenti di Don Facibeni che “Un buon cittadino deve avere cultura, spiritualità, professionalità, disponibilità e amore per tutti”
Ci rendemmo conto che Don Carlo non si occupava solo dell’educazione dei giovani ma rivolgeva il suo amore verso il prossimo, anche agli anziani, ai carcerati, agli stranieri.
L’incontro con Madre Teresa di Calcutta fu importante per Don Carlo che su sua richiesta andò in Albania e vide le terribili condizioni di vita di orfani e di ragazzi cerebrolesi ricoverati negli ospedali psichiatrici. Decise che doveva occuparsi di loro, occuparsi di questi ultimi fra gli ultimi.
La sua fede profonda e la consapevolezza che la Chiesa dovesse essere sempre capace di stare vicini ai più poveri, ai più disperati spinse Don Carlo a intraprendere un’impresa che sembrava impossibile. Riuscì al compiere il miracolo di togliere quei bambini dall’istituto in cui vivevano nel degrado peggiore e metterli in case famiglia, ristrutturare l’istituto, allestire un ambulatorio e altre cose importanti.
Ma il suo pensiero profondo era che questo non fosse sufficiente, occorreva che fosse accompagnato dalla formazione dei giovani albanesi. Organizzò collegamenti fra Italia e Albania. Professionisti, magistrati, uomini di cultura, rappresentanti della Misericordia e della Protezione civile si misero a disposizione per raggiungere questo scopo incontrando i giovani albanesi, per ”rieducarli al vero significato del lavoro”.
Tutto questo impegno, come spesso succede, portò anche a critiche e sofferenze e sempre più spesso Don Carlo veniva dall’amico Tindari per avere suggerimenti o consigli o semplicemente per parlare. Se ne andava nella consapevolezza che su questa persona poteva contare.
Di Carlo Zaccaro io mi ricordo il suo sorriso, la sua serenità, serenità di una persona, di un prete che nella sua vita non si è mai sentito solo , neppure quando ha preso le decisioni più gravi, non solo perché era circondato dall’amore delle tante persone che aveva aiutato, ma perché sempre vicino a se, ne sono sicura, aveva Gesù e la Madonna che lo sostenevano e guidavano.
Giuseppe Bossio
Ricordo don Carlo Zaccaro. Ho tante cose da ricordare, uno è il suo buon carattere che aveva se una persona era giù di morale trovava la parola quella giusta per tirarti su il morale, e un’altra cosa che ricordo di lui è che se uno aveva bisogno di un abbraccio lui te lo dava, o tu lo davi a lui.
E un’altra cosa che ricordo bene è che ha messo in piedi la cooperativa Fare del bene, poco più di 20 anni fa circa. E per questo bisogna dare grazie a don Carlo Zaccaro e a tutte le persone che lo hanno aiutato a mettere su questa attività,.
E poi quando il 15/05/2010 arrivò la notizia dove ci diceva, che don Carlo Zaccaro era morto ha un po’ sconvolto Galeata ed oggi che son passati 10 anni della sua scomparsa il ricordo ci sarà sempre per tutta, la vita anche se a Galatea il venerdì sera quando lui arrivò era un arrivo di gioia e felicità, quando veniva la domenica che poi doveva rientrare a Firenze veniva fuori la tristezza ma poi passò subito.
Tina Zaccaro
Scusate se non ho ringraziato subito voi cari amici per avere in vario modo ricordato Don Carlo in questi giorni. Dunque grazie a chi ha partecipato alla messa di San Michelino e a chi comunque, anche in altri luoghi di Firenze gli ha reso omaggio in vario modo. Grazie molte davvero a Irene Funghi per il suo documentatissimo articolo su Toscana oggi che ripercorre varie tappe con molte testimonianze. Grazie poi ai Galeatesi, alla Sindaco, che sempre sostiene con determinazione nelle occasioni pubbliche la figura di Don Carlo, agli uomini e donne della Fare del Bene e della Misericordia di Forli che ricordano con l’azione quotidiana ( più che da questa parte dell’appennino) gli intenti di Don Carlo che, come ha straordinariamente ricordato PINO nel suo generoso ricordo, erano sempre con quel ” Fin di bene ” per gli altri . Per far crescere tutti ma specialmente per chi aveva avuto meno possibilità dalla vita .
GRAZIE A TUTTI ANCORA e a presto😘🖐🖐Tina Zaccaro e Famiglia
Alma Krajni
La prima cosa che si pensa quando si parla di Don Carlo, è il suo grande carisma.
Io, l’ho conosciuto 22 anni fa a Scutari dove realizzava la sua missione, quella di aiutare tutti quelli che poteva aiutare, tutti quelli che avevano bisogno. Aveva realizzato case-famiglia per i ragazzi disabili, casa-famiglia per ragazze provenienti dall’orfanotrofio , ambulatorio di fisioterapia, progetti di aiuti con persone, alimenti e medicine durante la guerra del Kosovo, progetti di collaborazione con l’ospedale Meyer per potere curare bambini affetti da gravi malattie, bambini che andava personalmente a prendere a Scutari, e tanto altro.
Io collaboravo con lui nella gestione della casa-famiglia che ospitava le ragazze provenienti dall’orfanotrofio di Scutari, ragazze adolescenti per le quali desiderava che studiassero e avessero la possibilità di crescere con delle ambizioni diverse, ambizioni simili a quelle delle ragazze che avevano una famiglia. Ed è proprio ciò che Don Carlo cercò di garantire loro, una famiglia. Aveva creato per loro anche un laboratorio di sartoria per potere insegnare una professione. Ricordo con nostalgia quel periodo, conservo ancora un vestito che insieme alle ragazze sistemammo. La missione di Don Carlo era anche quella di “guidare”.
Le ragazze trovarono nella casa-famiglia e in Don Carlo la famiglia che a loro era sempre mancata e questo cambiò il corso della loro vita. Si misero a studiare, finirono la scuola, cercarono e conobbero anche loro familiari, ma la loro vita si era avviata ed erano diventate indipendenti.
Ognuna di loro oggi ha costruito la propria vita, diverse hanno costruito una famiglia, lavorano ed hanno dei figli meravigliosi. Tutto questo percorso di successo era partito da lui, da Don Carlo che oggi sarebbe molto orgoglioso di vederle realizzate.
Altra occasione in cui collaborai con Don Carlo era durante la guerra del Kosovo, nel 1998-1999. Migliaia di famiglie fuggirono dalla repressione dei serbi e si stabilirono in un campo creato intorno alla fabbrica del tabacco a Scutari. Non avevano niente, molti avevano lasciato la propria casa, la propria terra, tutti gli averi e, spesso, anche i propri cari.
Don Carlo si mise in prima linea per aiutare queste persone, portò loro aiuti di ogni tipo, vestiti, generi alimentari, medicinali, medici, volontari. Poiché c’erano tanti bambini in questo centro, Don Carlo si preoccupava anche dell’aspetto ludico e scolastico. Per questo motivo chiese a me di dare una mano a questi bambini. Insieme a Carlo Zappia, venuto apposta dall’Italia con i camion pieni di aiuti, andammo lì con chitarre, lavagne, quaderni, pennarelli, libri per bambini e tanti altri giochi.
Don Carlo desiderava regalare un momento di gioia, una finestra di entusiasmo e di ottimismo, un cielo azzurro nel mezzo della tempesta che attraversava la vita delle persone che incrociava durante il suo percorso.
Questa era la missione di vita di Don Carlo. Molte volte ci penso e mi sento sempre fortunata che il destino mi ha portato a conoscerlo e a condividere del tempo prezioso con lui.
Alma Krajni
Firenze, maggio 2020.
Gjenovefa Haxhari (Vefa)
Quello che mi ha sempre colpito di Don Carlo è la sua perseveranza nell’aiutare sempre gli altri. Non vi era un momento della sua giornata in cui lui non pensasse a cosa ancora poteva fare; in ogni occasione, in ogni situazione, ogni storia che ascoltava lo portava a pensare: “cosa posso fare io per loro”.
Io lo conobbi tramite le suore di Madre Teresa e ho lavorato presso la casa famiglia dei bambini disabili che lui aveva realizzato per offrire loro delle condizioni di vita migliori di quelle che potevano avere presso un istituto, voleva che anche loro si sentissero come in una famiglia.
Ricordo che portava sempre tanti aiuti specialmente i generi alimentari erano sempre in abbondanza. Io avevo la responsabilità del magazzino. C’erano intorno a noi alcune famiglie i cui uomini di casa erano costretti a stare chiusi per la paura di essere vittime della “vendetta di sangue” . Queste famiglie spesso non avevano una fonte di reddito, erano molto povere, mancava persino il mangiare. Io cercavo di darle qualcosa dalle nostre riserve. Quando Don Carlo venne a sapere di queste famiglie si preoccupò e iniziò subito a pensare ad un progetto: realizzare un magazzino con dei viveri da destinare a tutte quelle persone in difficoltà.
Colpiva, inoltre la sua semplicità, la sua umiltà. Quando veniva a Scutari voleva sempre dormire con i bambini. Diceva sempre “io devo andare in Italia per assicurare gli aiuti, ma se dovessi morire è qui che vorrei accadesse”.
Don Carlo amava molto Scutari, era un suo cittadino.
Gjenovefa Haxhari (Vefa)
Firenze, Maggio 2020
Liza Cukaj
Io lavoravo presso le case-famiglie dei ragazzi disabili. Erano ragazzi affetti talvolta da grave disabilità, ma ciò non impediva di esprimere una grande gioia tutte le volte che Don Carlo veniva a trovarli, era il loro padre.
Ricordo sempre con nostalgia l’allegria delle cene tutti insieme, era una grande festa. Don Carlo si alzava, andava a prendere i piatti e li portava ai ragazzi, voleva servirli personalmente.
Don Carlo ci teneva a farli stare bene, organizzava ogni anno la vacanza al mare perché diceva che il mare fa bene alla loro salute.
Don Carlo non faceva del bene solo a questi ragazzi disabili, ma a tutti/e quelli che lavoravano, non solo perché offriva un lavoro, bensì per la crescita personale che ognuno di noi poteva avere nel vedere tutta la sua bontà, il suo grande impegno per i più bisognosi.
E’ stato un periodo bello della mia vita.
Liza Cukaj
Maggio 2020
Helsi Dardeli
Tanti ma tanti anni fa, un estate quella forse del ‘96, quando tornai a Scutari per le vacanze, andai a trovarlo come facevo di consueto.
Tra le tante cose che si discuteva, e che voleva un parere pure da mia madre, all’epoca giudice presso la Corte d’Appello, mi disse che voleva aprire l’infermieristica e che a riguardo, voleva organizzare una cena dove avrebbe invitato il Sindaco di Forli e un suo amico per parlarne.
Non capivo bene ma accettai l’invito scherzandoci sopra, e andai dicendogli di si, giusto per non contraddirlo.
Tre giorni dopo, mi chiamò invitandomi a cena e dicendomi che aspettava pure mia mamma per parlarne.
Non capivo cosa c’entrasse mia mamma dato che lei si occupava di tutt’altro.
Sta di fatto che andammo pensando che sarebbe stata una cena di 4-5 persone cosi per fare una tranquilla chiacchierata.
Ricordo che quando entrai vidi la presenza di diverse persone, almeno 8, escluso Don Carlo, e che scherzando con il suo classico pugno sulla spalla, ci disse che stavano per arrivare altre 4-5 persone.
Rimasi impietrito e io da ragazzo pensai che, Don Carlo imprevedibile come era, finì per essere una cena di lavoro, davanti ad una tavola rotonda, diventata ovale, a causa delle tante persone.
E che lui con il suo savoir-faire aveva ben predisposto.
Da lì a pochi anni, l’infermieristica apri e iniziò il suo percorso.
Non dimenticherò mai quella cena, sia perché sapeva dialogare e parlare sagacemente ma perché nessuno di noi si immaginava una cena del genere, pensando di essere in pochi, una sera d’estate. Ignari che sarebbe stata una riunione di lavoro, dove aveva invitato persone influenti, dal sindaco, al rettore, dal prefetto al direttore dell’ospedale e diversi avvocati. Ecco, mi resi conto che Don Carlo sfruttava ogni occasione per portare a termine, iniziative o risolvere questioni che l’Opera Madonnina del Grappa aveva.
Helsi Dardeli
Ex studente dell’Opera Madonnina Del Grappa
Albania, 2020.
Like Poka
Eravamo in vacanza al mare quando il direttore dell’orfanotrofio mi chiamò dicendo che voleva parlare con me. Siamo andati sulla spiaggia e cominciò a parlare della casa famiglia. Io a quel tempo dovevo andare in convitto in quanto avevo superato l’età per restare in orfanotrofio. Il direttore mi disse che c’era un prete venuto dall’Italia che voleva prendere alcune ragazze in casa famiglia per dare loro una possibilità di studiare. La mia risposta fu sì, anche se non capivo bene cosa fosse una casa famiglia. Nel 1998 sono entrata nella struttura con le ragazze, poi ho cominciato ad andare a scuola. Don Carlo aveva assunto delle educatrici per starci dietro. Mi ricordo che il primo giorno di scuola superiore tutti erano accompagnati dai genitori, a noi ci accompagnò un’educatrice di nome Alma Krajni. Ero una ragazza molto arrabbiata con la vita e non parlavo tanto con nessuno. Ero timida e mi chiedevo come mai noi non avessimo i genitori e gli altri sì. Questa cosa non mi passava facilmente dalla testa. Un giorno parlai a Don Carlo di questa situazione e lui mi disse “ Figlia mia, sono cose della vita che non possiamo scegliere, ma possiamo cercare di migliorare. Bisogna andare avanti con forza e coraggio”. Poi mi abbracciò forte forte. Sono parole che non dimenticherò mai. Da quel giorno piano piano cominciai a seguire il suo consiglio. Avevo diciassette anni quando ho conosciuto la mia vera famiglia, le mie sorelle il mio fratello. Dopo qualche anno conobbi anche mio padre, che mi chiese scusa per avermi abbandonato all’orfanotrofio. Io l’ho perdonato grazie a Don Carlo che mi ha insegnato a perdonare. Mi disse “ Quando perdoni stai bene tu e anche gli altri”. Sono stati gli insegnamenti di Don Carlo, che non dimenticherò mai, a farmi diventare la persona che sono oggi. Quando finii la scuola superiore e non avendo voglia di studiare Don Carlo mi fece assumere a Casa Tedeskini per lavorare con i ragazzi disabili. Li, ho capito il valore della parola felicità . Basta un sorriso di quei ragazzi per capirlo. Ho lavorato con loro per cinque sei anni. Dopo sono venuta in Italia per studiare, poi la vita ha preso altre strade. Ho conosciuto un ragazzo, che adesso è mio marito, e decido di presentarlo a Don Carlo. Sono andata villa Guicciardini a Firenze per incontrarlo. Anche lì non dimenticherò mai il suo viso raggiante nel vedermi felice e contenta. Esordì dicendo “Figlia mia , ti devi sbrigare, il nonno non ha tempo, fai le cose veloci”. Lui sapeva che per me era importante crearmi una famiglia. Per una serie di vicissitudini le cose sono state fatte davvero veloci, come voleva lui, ma non abbastanza. Mi rammarica il fatto che non mi abbia visto sposata, che non abbia conosciuto i miei figli. Adesso ho una famiglia, un marito e due bambini meravigliosi. Io di tutto questo ringrazio molto mio padre Don Carlo che sarà sempre nel mio cuore. Mi ha insegnato tante cose ed è grazie a lui se sono cambiata. Nella vita non sempre si nasce felici, ma possiamo avere la felicità se la cerchiamo. Lui ha sempre avuto fiducia in noi e ci ha voluto molto bene. Sono felice di essere stata una delle ragazze di Don Carlo.
Con molto affetto
Like Poka.
Marino Muzhani
Testimonianza per Don Carlo Zaccaro
Non è facile parlare di una persona mite, amorevole, di animo generoso e umile come Don Carlo Zaccaro dell’Opera della “Madonnina del Grappa” di Rifredi.
Io che venivo da Scutari, ho avuto l’onore, come altri studenti, di vivere all’Opera della Madonnina del Grappa esattamente a Villa Guicciardini dove si respirava un ambiente universitario, specialmente negli anni novanta e di conoscere da vicino Don Carlo. Infatti, in quegli anni eravamo più di venti studenti a Villa che studiavamo in diverse facoltà dell’Università di Firenze. Don Carlo ci teneva molto che tutti noi studenti oppure come ci chiamava lui “i ragazzi universitari dell’Opera” finissimo gli studi universitari. Ovviamente, gli esami universitati specialmente per me che venivo da Scutari non erano facili. Ma lui, che era un laureato in giurisprudenza, con una specializzazione in diritto agrario a come ex-docente universitario e ex-redattore della Rivista di Diritto Agrario, ci diceva continuamente, a me come agli altri, che si doveva studiare molto, “studiate ragazzi, oggi chi non studia non piglia i frutti della vita”.
L’idea di don Carlo era che tutti noi giovani si doveva seguire un percorso di studio (tramite università, scuole o altri corsi di specializzazione) che ci doveva portare ad “indirizzare” la nostra vita nella professione che noi si voleva fare nella vita. E lui aveva ragione. Infatti, la maggior parte degli studenti universitari a Villa Guicciardini in quegli anni finirono gli studi universitari. Altri invece, hanno completato diverse scuole e corsi formativi e alla fine tutti noi abbiamo “indirizzato” la nostra vita nella professione che più o meno volevamo fare nella nostra vita, grazie (specialmente nel mio caso) alle parole di Don – “studiate ragazzi, studiate…”. Quando “un ragazzo” dell’Opera si laureava Don Carlo era cosi contento e allegro che una cena ed una festa di laurea era certamente garantita, e dopo si impegnava intensamente che i laureati dell’Opera potessero avviarsi verso la professione.
Si parlava continuamente con Don Carlo, lì dove il suo cuore batteva di più, dei progetti in Albania. Infatti dal 1992, da quando su indicazione delle Suore di Madre Teresa di Calcutta Don Carlo si recò per la prima volta in Albania, Lui non smise mai di parlare, di lavorare intensamente e di andare continuamente in Albania e specialmente a Scutari. Don Carlo fu l’iniziatore dei tanti progetti a Scutari con attività molto intensa a favore dei più poveri e indifesi con la costruzione di ambulatori, centri sociali, centri formativi per i giovani, casa famiglia per bambini cerebrolesi e altre strutture sanitarie, ecc. Molti di questi progetti sono ancora oggi attivi in Albania. Aiutò decine e decine di bambini, ragazzi/e, anziani, e madri albanesi con diverse malattie e tanti problemi di salute, anche gravi, che, grazie a lui, potevano curarsi in Italia viste le precarie strutture sanitarie albanesi. Aiutò tanti giovani (tra i quali anche me), molti studenti, insegnanti, laureandi, docenti, professori, medici e infermieri albanesi a venire a studiare nelle università italiane o fare dei vari corsi di formazione in Italia. Probabilmente questo numero di albanesi che ha fatto diversi percorsi di studi in Italia dal 1992 in poi con l’aiuto diretto o indiretto di Don Carlo e dell’Opera arriva oltre cento, forse anche duecento. Molti docenti, specialisti e volontari italiani con i vari progetti dell’Opera organizzati e promossi da Don Carlo sono andati ogni anno a Scutari ad aiutare gli albanesi.
Mi ricordo bene che negli ultimi anni che io stavo all’Opera, Don Carlo fu il promotore di une serie di incontri sul tema “La Pira-Fanfani” organizzato dalla fondazione Giorgio La Pira, e con l’aiuto dell’archivio Amintone Fanfani (Fanfani fu uno dei più celebri politici italiani del secondo dopoguerra) e dell’università di Firenze dove si percorreva la storia politica ed economica di Firenze e dell’Italia nel dopo guerra. Dagli incontri che si tenevano spesso a Villa Guicciaridini, con la partecipazione di Ettore Bernabei, oltre alla partecipazione della fondazione La Pira e dell’università di Firenze, sono uscite anche delle publicazione che hanno fatto luce su molti aspetti dell’amicizia La Pira-Fanfani.
Don Carlo aveva coltivato una forte amicizia con La Pira chiamato anche il “sindaco santo” di Firenze. Se si vuole fare un confronto, si può dire che come Giorgio La Pira, nato e cresciuto in Sicilia, dove però tutta la sua vita fu dedicato a Firenze e lì che aveva anche il “cuore”, cosi anche Don Carlo Zaccaro nato a cresciuto in Toscana, dal 1992 in poi il suo “cuore” era rimasto a Scutari, e in Albania. Quando si parlava con Don Carlo di altri temi, il discorso sempre tornava ai progetti in Albania, dove il suo cuore batteva sempre e non c’era verso di farlo smettere. Come i fiorentini diranno sempre “Grazie”, al sindaco La Pira per aver aiutato negli anni difficili del dopoguerra i disoccupati, gli sfrattati, i bisognosi e le famiglie piu povere di Firenze cosi anche gli scutarini diranno sempre “Grazie”, a Don Carlo per aver aiutato i piu bisognosi, i malati, i celebrosi, gli anziani, i giovani, e gli studenti della città, e non solo ma anche diversi docenti, professori, medici e infermieri di Scutari.
Anche da lontano, in questo anniversario della morte di Don Carlo, si ricorda sempre l’opera fruttuosa di Don Carlo e le opere della Divina Provvidenza “Madonnina del Grappa” per aiutare i più bisognosi, che purtroppo in questo mondo non mancano mai.
Come ci insegnavano Don Giulio e Don Carlo – ovunque nel mondo siamo, qualunque cosa facciamo nella vita, saremmo sempre chiamati “figli dell’Opera”,.
Marino Muzhani
Ex-universitario di Scutari a Villa Guicciardini
Toronto, ON.
Canada,
May, 2020
Francesco Puggioni
Per me don Carlo è stato una gran bella persona. Quando arrivai a Villa Guicciardini mi accolse come un figlio. Nei giorni seguenti non volevo starci perché volevo tornare a casa mia. Col passare del tempo feci amicizia con gli altri ragazzi specialmente con Nicola Comastri che mi aiutò tanto. Non lo scorderò mai. Comunque dopo 3 anni venni via. Il ricordo più bello che ho e non scorderò mai è quando don Carlo mi disse prima che me ne andassi fai il bravo e se avessi bisogno di lui di chiamarlo …mi è dispiaciuto tanto quando è morto il mio rimpianto e di non averlo più visto per dargli un ultimo abbraccio.
Viva don Carlo e la Madonnina del Grappa
Stefano Scarparolo
Scrivere di don Carlo, per me, è cosa veramente ardua dato lo spessore umano, morale, teologico della Sua figura.
Sono stato a Villa Guicciardini come studente, negli anni dove c’erano tanti bambini/ragazzi insieme a noi studenti universitari. Una stagione unica. Non ho la pretesa né la capacità di descriverne la grandezza, della quale posso solo cogliere un lieve riflesso avendoci vissuto parecchi anni accanto. Ma voglio ricordarlo in un momento più intimo, familiare, che me lo rendeva vicino e al contempo con un atteggiamento da padre a figlio… Noi universitari avevamo i turni a pranzo e cena nella cucina di Villa prima e nella casa dove dimorava don Celso poi. Il martedì era il mio turno e a volte il don rincasava tardi, quando la cena era già finita. Allora, strizzandomi l’occhio, mi chiedeva di preparargli una bruschetta con l’aglio “come sai fare te” e una tazza di latte “a bollore”, sempre chiedendo “per piacere”. Per me era un enorme piacere servirgli quel frugale pasto ed era una grande occasione per stare insieme a lui quel quarto d’ora a parlare di qualunque cosa, soprattutto nel periodo in cui mio padre morì.
Aggiungo una nota di colore: una volta, in una riunione, si citò la mia regione, l’Umbria. Lui subito disse: “Ah l’Umbria, grande terra di uomini Santi!”. Poi si girò verso di me e disse, sottovoce: “mica tutti”. E si rise insieme. Grazie di tutto don Carlo… e veglia su di noi.
Lirije
Avevo solo 11 anni quando sei entrato nella mia vita, forse arresa ad un triste destino di un orfanotrofio insieme a mia sorella. In Albania si dice “Dio non dimentica nessuno”, ed è cosi che è stato. Lo dico sempre, sono una ragazza fortunata nella mia sfortuna.
Un giorno, ci dissero che un sacerdote avrebbe voluto creare una casa famiglia con dei ragazzi adolescenti, che iniziassero la loro vita in un altro contesto, imparando a vivere e a stare nel Mondo in una realtà diversa. Mia sorella aveva l’età giusta per questa idea-progetto ma io ero piccolina. Ovviamente un uomo grande come te, non avrebbe mai diviso due sorelle, per nessun motivo. La mia vita, dopo aver lasciato quell’orfanotrofio prese tutt’altra piega, era destinata a migliorare perché tu ti prendesti cura di me fino alla fine dei tuoi giorni (Sebbene non fossi poi più cosi piccolina).
Mi hai insegnato tante cose, ma soprattutto l’amore. Eri un esempio d’amore continuo per tutti, per chi stava male, per chi aveva sofferto e per chi la vita non era poi stata cosi generosa. Mi hai dato un sacco di possibilità, soprattutto mi hai insegnato l’amore verso il prossimo, verso la vita, verso il Mondo, con il tuo esempio. Mi hai fatto studiare, mi hai aiutata fino alla fine, ma eri pur sempre preoccupato per me perché fino a qualche anno fa non avevo una precisa professione.
Come un padre, tra le ragazze, ero la più piccola ed eri preoccupato perché non “sistemata”. Mi dispiace tantissimo non poterti far vedere che sono riuscita a far qualcosa della mia vita.
Ho scelto di fare un lavoro che mi gratifica molto, mi prendo cura delle persone che per vincoli di salute e possibilità non lo possono fare per se stessi. Mi impegno di farlo con amore e dedizione, proprio come tu hai fatto crescere me, rendendo il cammino della mia vita meno doloroso e faticoso.
Mi hai affidato alle suore per studiare, mai scelta fu più giusta, ho imparato tanto anche da loro, sono state un esempio concreto d’amore. Nonostante tutto il mio dolore per i miei genitori, mi hanno regalato un’adolescenza serena e spero che Dio gliene renda merito ad ognuna di loro singolarmente, mi hanno regalato amore smisurato e regole ferree che mi tornano utili anche ora che sono”grande”.
Non ho forse avuto i genitori sempre presenti, ma ho avuto te, e sono stata fortunatissima. Che dolore non poterti vedere, ma ti penso sempre e mi fa male non averti in carne ed ossa per vederti orgoglioso di me. Sono certa che in qualche modo da lassù mi proteggi.
Grazie di tutto, e perdonami per averti fatto tribolare ogni tanto, ma te hai saputo comprendermi sempre, dandomi la forza per rialzarmi anche nei momenti apparentemente impossibili. Grazie per aver cambiato la mia vita.
Grazie per avermi insegnato che l’amore è l’ingrediente essenziale della mia esistenza.
Non so se sono stata una figliola modello ma sappi che ci ho provato con tutte le mie forze.
Con immensa gratitudine e infinita riconoscenza
Lirije ( la più piccola )
02.06.2020
Ambra ( Arezzo )